Giorni fa un fotografo professionista nordeuropeo che avevo recensito mi scriveva aver molto apprezzato l’articolo che Giorgio Rossi aveva redatto qui in NOCSensei a proposito di Fotografia ed intelligenza artificiale.
Giorgio ne ha poi pregevolmente vergato un altro, ed entrambi i testi sono corredati da magnifiche fotografie che suggerisco rimirare.
La semantica in proposito è articolata quanto è variegato l’ambito: digital art, mixed media, montage, et cetera.
Noterete che non tutte le summentovate definizioni s’attagliano univocamente al tema dell’intelligenza artificiale applicata alla realizzazione d’immagini.
Ciò in quanto la materia, concettualmente, è più vasta: si tratta di definire la qualità (tipologica) dell’intervento dell’artefice e quella del dispositivo utilizzato.
Dell’artefice, la qualità e la quantità.
Circa ciò, vi approderò tra una manciata di righe.
Per intanto, le tre eccellenti fotografie poste a corredo di questo brano.
Marcin Jastrzebski è icastico per come felicemente giostra tra eleganza e sintesi.
Rafael Motaniz pone al servizio dell’immaginazione una magistrale capacità esecutiva.
Valentin Ivantsov compone musica delle sfere – visivamente parafrasando, all’esterno dell’impianto filosofico del termine – con mirabile sicurezza di gusto.
I tre succitati casi corrispondono ciascuno a differenti modalità d’intervento.
Il che ci riporta al summenzionato apporto qualitativo e quantitativo dell’artefice: se in Marcin, Rafael e Valentin esso è spiccato e rimarchevole nella rispettiva specificità, in altri casi può non essere così.
Segnatamente, nel ricorso all’intelligenza artificiale.
Sapete, nella musica classica gli orchestrali sovente apprezzano di più il loro direttore quando esso mostra dimestichezza pratica con gli strumenti in organico.
Una volta un bancario mi ha detto che un suo superiore si dedicava a tessere trame ma non avrebbe saputo scontare una cambiale.
Un architetto viene ordinariamente surclassato da un muratore nel maneggiare la cazzuola.
E il Fotografo?
Egli è corpo e mente.
Il fare è inscindibile dal pensare.
Il sapere ha per corollario l’agire.
Così non dissimilmente dall’arte.
Il deus ex machina è sia Dio che macchina, qui.
I sì appellati prompt, è ora il momento di nominarli.
Sapete, ho fatto lo stesso giochino che illo tempore feci con i motori di ricerca: menando a caso le dita sulla tastiera, qualcosa comunque esce.
Così – all’interno dei programmi dedicati – la richiesta d’immagini sollecitata da indicazioni scritte.
D’immagini direttamente modellabili, intendo.
Diversamente, già vi era la proposizione dei motori cui accennavo.
E tuttavia, sarebbe ingannevolmente sbrigativo liquidare la questione asserendo che questa prassi sia una scorciatoia per chi non sa usare un Illustrator, un Affinity, un Corel, sinanco un Autocad.
Lo sarebbe poiché vi è chi s’avvale dell’intelligenza artificiale in sinergia con altri più laboriosi procedimenti, e per sovramercato possiede un solito retroterra quale fotografo con mezzi tradizionali.
Epperò, giova tornare al parallelo con l’arte tout court.
Sapete, anche nel Rinascimento in certa misura si delegava.
Allievi di bottega, quel tipo di cose.
Ma chi firmava, sapeva.
Sapeva non solo pensare, ma anche fare.
Poi giunse l’era di coloro che hanno una idea – tipicamente attingente al senso di provocazione e di allettamento proprie di una generalità livellata al ribasso – ed incaricano altri di fabbricare e collocare in ambiente urbano le cosiddette installazioni.
Nell’intelligenza artificiale la facoltà del sistema di confezionare immagini convincenti è suscettibile di miglioramenti, che prevedibilmente si concreteranno.
C’è un ulteriore giochino, eccomunque, che si può fare: utilizzare come prompt passi della letteratura.
Solitamente, il software non ne capisce niente.
Cosa ci mostra ciò?
Non tanto che le indicazioni fornite non sono intenzionalmente mirate.
Piuttosto, che l’operazione stessa implica la volontà di concettualmente traslitterare.
Ovvero, usare la cosa per cosa altra che testimonia la spaziabilità del pensiero.
Del pensiero, la sua attitudine a cimentarsi nel suscitare collegamenti.
Ergo, del desiderio di navigare entro lo scibile nell’anelito verso la dilatazione dei confini.
Del resto, può valer più la fantasia nel sottoporre richieste tramite prompt che non il risultato della reazione.
Beninteso, limitatamente al primigenio intento.
Che permane in potenza anche se ha innescato un procedimento che da luogo ad esecuzione.
E permane in potenza perché ciò che segue non è interamente ascrivibile a chi lo ha fatto avviare.
Aristotele distingueva tra ενεργεια e δυναμις per circoscrivere l’ambito dell’atto e quello della potenza, ma non è necessario soffermarsi su elleniche cogitazioni per avvedersi che un’opera che nutra ambizioni di linguaggio non possa dirsi tale se priva di connessione tra volontà e azione.
E non basta neppure il connubio tra volontà ed azione.
Perché l’elephant in the room – come direbbe un inglese – è il Talento.
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Claudio Trezzani
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