L’inanimato e non

Cosa c’è che non va in questa foto?
È presto detto : la posizione del sole rispetto all’albero.
 La vegetazione divisoria su cui l’albero è collocato e i segni della coltivazione sono tra loro paralleli. Si è poi scelto un formato quadrato con l’albero posto al centro.
E allora?
Allora l’ombra dell’albero non è perpendicolare all’andamento generale.
Lo fosse stato, ogni retta avrebbe concorso ad un armonico disegno regolare, questa dissonanza costituisce un vulnus irrimediabile alla partitura.
Avrei dovuto aspettare alcuni minuti prima di scattare: cestinare.
Questo esempio serve ad avviare con progressione l’argomento dell’articolo.
Abbiamo qui un insieme statico di soggetti inanimati quanto a loro movimento, ma un fattore di variazione temporale è rappresentato dalla cangiante posizione del sole per chi guarda.
È questo un primo stadio. Il successivo è: soggetti che motu proprio apportano dinamismo ad una cornice statica.
Vi è un celebre esempio di Berengo Gardin in cui il Maestro, al cospetto di un panorama agreste, ha scelto un ben preciso istante della camminata di un viandante per attribuirgli una posizione, e quindi un peso, nella composizione generale. In una situazione del genere l’elemento umano rappresenta una pedina del mirabile arazzo realizzato.
Come si sa, la questione è scegliere il momento appropriato.
Ma come regolarsi quando l’elemento umano viene considerato alla luce della sua valenza individuale e ci si perita spiare moti dell’animo?
Stiamo entrando nell’ambito del ritratto ambientato e non. Anche in questo caso ci troviamo di fronte ad una progressione: nel cosiddetto ritratto ambientato (non mi udirete pronunciare l’abusato termine inglese che si vuole equivalente…) vi è una coesistenza in varia misura  bilanciata  del summentova to elemento/pedina e dell’elemento emotivo: il fotografo può far danzare una persona od un gruppo di persone in relazione sia alla loro attività e/o atteggiamento sia al loro rapporto con elementi statici presenti sulla scena, dal che si evince che i tagli e gli sbocchi possibili sono assai numerosi e differenti.
Qui il fattore tempo marcatamente riveste un carattere di unicità, poiché il risultato dipende dall’interazione di comportamenti individuali che possono essere o meno consapevoli l’uno dell’altro. Infine, come accennavo, il ritratto non ambientato. Mi riferisco, con solo apparente paradosso, all’ossimorica definizione di ritratto non ambientato in ambiente. Per questo tipo di situazione conio il termine di spontaneità carpita. Occorre descriverne l’ambito realizzativo per comprenderne presupposti e finalità: sono appostato, cacciatore di emozioni umane mie ed altrui, in un luogo semiaffollato con un potente e luminoso teleobiettivo. Il che ci parla sia di ingrandimento sia di isolazione (ridotta profondità di campo).
La conseguenza voluta è: nella moltitudine e nel flusso del tempo io ho scelto proprio Te e solo Te, e solo in un particolare momento. Intendo celebrare Te nella divina magia della Tua unicità e irripetibilità, nel prezioso attimo in cui dipingi nel luogo e nel tempo la Tua interiorità esternata con la presenza. Sono queste fotografie che, non solo per definizione, non possono essere ripetute: rappresentano il massimo grado di interazione tra tempo ed umanità.
Un altro Maestro di fotografia, Franco Razzini, mi disse un giorno: altri (ndr: peraltro con nobili intenzioni ed alti esiti) attendono che un luogo si svuoti, io che si riempia.
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