Piccioni.
Aironi.
Gabbiani.
Cormorani.
Garzette.
Cigni.
Ciascun conduttore di droni dovrebbe avere un etologo al seguito.
Perché lo affermo?
Perché a ciascuno di questi volatili corrisponde un pericolo specifico per il nostro, di volatile, quello a propulsione elettrica.
Questo filmato suscita quesiti incrociati, tra etologia, fisica meccanica, ottica, acustica.
Si tratta di un estratto da una mia clip (relativa ad una più vasta realizzazione sulle acque) in cui il drone passa sotto un ponte, indi alto si libra risalendo fiume.
Come si vede, mentre durante il passaggio sotto l’arcata del ponte c’è un certo movimento (sebbene avessi prescelto un passaggio non caratterizzato dall’accamparsi dello stormo, presente invece a destra nell’inquadratura iniziale), l’incontro ravvicinato con un piccione avviene successivamente, subito dopo che il drone è fuoriuscito dal tunnel.
Ciò spinge a domandarsi:
- aveva il piccione presentito il mezzo?
- lo aveva scorto prima dell’imbocco?
- quale capacità di evitamento esso – il piccione – ha?
- che percezione ha dell’oggetto?
I piccioni sovente si muovono in formazione.
Ciò determina a priori un pericolo rappresentato dalla superfice d’impatto e dalla coordinazione complessiva.
Dove però la presenza di piccioni è peculiarmente insidiosa è all’interno di celle campanarie.
Il drone s’avvicina alla torre; improvvisamente da essa fuoriesce una nutrita compagine.
Che subito inizia a volteggiare intorno al Nostro, e lo fa ad ondate.
Certo non vi è una regola, ma spesso il Nostro ne subisce tre, di successive incursioni.
Nella fattispecie, i consigli generici sul comportamento di volo da tenere che si reperiscono in Rete non s’attagliano perfettamente al caso: suggeriscono di salire, in realtà è azzardato farlo sino a che non si è avuta sufficiente contezza di quanto esteso è il gruppo, nonché del loro raggio di manovra.
Salire subito, infatti, esporrebbe all’eventualità di colpire una porzione marginale della pattuglia.
Aironi.
Spiccatamente gelosi della loro area di pesca, a me è capitato sottoponessero il drone a vigorose, ripetute lambizioni alari, con il risultato di destabilizzare il mezzo, pur senza farlo precipitare al suolo.
Gabbiani.
Se il drone è Achab, il gabbiano è Fantomas.
M’è occorso vedere gabbiano attaccare barboncino, è successo – raramente, però – che stimassi opportuno addirittura rinunciare al decollo.
Cormorani.
Molto concentrati sul pasto sotto il pelo dell’acqua, ma occorre non sottovalutarne velocità e massa.
Garzette.
Una variegata gamma di timidità, ma conviene non mettere alla prova l’offensività del loro becco.
Cigni.
In teoria sarebbero i più temibili antagonisti, ma in pratica la soluzione d’elevarsi repentinamente in verticale – questa volta, sì – costituisce un deterrente generalmente efficace.
Ed in generale, le dimensioni del Nostro.
Banalmente ma non insussistemente: se anni fa un fattore di forma di riferimento era un Dji Phantom, ora vanno diffondendosi i piccoli senza/patente.
Ergo, sì è passati da droni grossi come uccelli a droni più piccoli d’uccelli.
E a mezzi mediamente più silenziosi, anche.
Ed insomma, un rimedio ci sarebbe: dotarsi di un drone militare.
Di quelli a motore termico, apertura alare di svariati metri, e dotazione missilistica a bordo.
Come dite, non ce l’avete?
Ecco, avrei una soluzione alternativa.
Prudenza, conoscenza, pianificazione.
Come dite, non basta?
Sì, avete ragione.
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Claudio Trezzani
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