L’importanza di cavalcare mucche

Mi trovo qui – nel titolare – a parafrasare la celeberrima commedia di Oscar Wilde.

Nel caso specifico l’importanza è annessa all’opportunità di cavalcare bovis tauri uxor, la moglie del toro.

In realtà non l’ho mai fatto, limitandomi a dromedari e cammelli.

Non tragga in inganno il tono buffonesco, è una maniera di procedere per analogia e metafora onde illustrare un concetto.

Dromedari e cammelli, dicevo.

A determinate latitudini è usuale trovarvicisi a cavalcioni.

Da siffatta posizione è dato percorrere con lo sguardo l’andamento del corpo, sviluppo superiore del collo incluso.

Non così con le mucche.

Se nessuno le cavalca, nessuno potrà mai solennemente asseverare circa la precisa conformazione della summentovata parte anatomica.

Eppure ci sono riuscito lo stesso.

Appurando che esso non è così massiccio come si crede: all’ampiezza verticale non corrisponde pari misura di sezione.

A cosa devo cotale scoperta?

Al mio drone.

E allora?

Allora è una questione di saldatura tra prospettiva ed opportunità.

La somma dei due fattori ammonta ad un ampliamento delle facoltà linguistiche.

Le quali superano la mera istanza documentaria.

La superano poichè il processo non si esaurisce nell’illustrazione del dato, tecnicamente o scientificamente inteso.

Il sapere di più come è fatto il collo di una mucca va al di là di una acquisizione cognitiva.

La supera perchè una percezione fruita traverso una fotografia si giova di un contesto che è cucinato con il taglio prescelto dall’artefice.

Il taglio prescelto dall’artefice afferisce la sfera emotiva, calando il rimiratore in una atmosfera pulsante.

Pulsante sia per la sua articolazione intrinseca, che per l’interpretazione che chi guarda coglie come atto volontario ad indirizzare operato dal fotografo.

Ecco perchè siamo nel terreno di un ampliamento delle facoltà linguistiche.

Il drone – con la sua peculiare parziale inediticità di prospettiva – suscita una reazione psicosensoriale specifica laddove disvela impensate vedute inscritte in situazioni.

Sì, vedute inscritte in situazioni.

Non il collo come cosa in sè conchiusa.

Il collo come è dato osservare in una composizione ambientale che si riteneva non attingibile, e allo stesso tempo reale nella sua composita totalità.

Reale nella sua composita tonalità e foriera di suggestioni imprevedute.

Ecco, la fotografia dronuale: ulteriori sapori sobbollono in pentola.

 

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Claudio Trezzani

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