Scena prima.
Ieri, cascata del Cucù.
Sarà per l’intonazione beffarda del lemma, il risultato è stata la sconfitta.
Vedete il ligneo parapetto presso il margine inferiore della fotografia, una delle due a corredo di questo brano?
Grazie d’aver gettato lo sguardo in quel punto.
L’immagine è documentaria, priva di qualsivoglia valore linguistico.
Se la riporto è meramente per finalità illustrativa.
Gli è, manzonianamente, che l’unica prospettiva che ho reputato degna di considerazione è quella alla base del flusso acqueo.
Dunque, occorreva gettarsi, e l’ho fatto.
Mi sono disteso in terra passando tra una traversa e l’altra e ho cominciato la discesa, dapprima tenendomi ad appoggi di fortuna.
Ad un certo punto, però, ho compreso che il terreno non mi forniva ulteriori appigli per guadagnare la base del precipizio.
Mi trovavo dunque a mal partito, e solo l’intervento provvidenziale di persona presente presso il sito mi ha consentito di trarmi d’impaccio.
Senza fotografia dalla prospettiva desiderata, e con il personale abbigliamento ridotto a poltiglia informe.
Già, la prospettiva desiderata.
Desiderata, ed obbligata.
O poter andare esattamente in quel punto, oppure niente.
Certo, ho effettuato alcune ritrazioni fotografiche e videografiche, utilizzabili in altri ambiti, ma nessuna immagine che considero dotata di compiuta espressività.
Già, la compiuta espressività.
Realizzare ciò che si ha in mente, non ciò cui la situazione costringe.
Scena seconda.
Stesso giorno, più tardi.
Dopo breve arrampicata, raggiungo ulteriore cascata.
Rivedo postazione che conoscevo, ed il problema rimane lo stesso: raggiungibile solo piantando chiodi da alpinista in roccia, equipaggiamento e perizia che non posseggo.
Terza scena, ormai è pomeriggio.
Siamo – è l’altra fotografia allegata a questo articolo – presso una terza cascata, situata questa a bordo/strada.
Nessun problema logistico, ma con una limitazione: con la base interferiscono manufatti, ergo ne ho eliso porzione.
Infinite altre pregresse scene, sullo stesso tema: in acqua sino alla vita, altrimenti niente.
Cosa ci dice ciò?
Che l’obiettivo – la lente – necessita di un obiettivo – lo scopo.
Se il pensato non coincide con l’eseguito, non siamo in presenza di un’opera in grado di vivere sua consapevole vita.
Qualora l’agognato non corrisponda con il possibile, non vi è compiutezza estetica.
Sempre strenuamente tendervi, è tuttavia imperativo tinto d’etica.
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Claudio Trezzani
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