Una sessione dronuale è in procinto d’iniziare.
Lo scenario delle operazioni è ad ovest.
D’improvviso, assai lontano in acqua – ad est – scorgo una minuscola imbarcazione.
Ecco il link (che si riferisce alla summentovata situazione, non a quella ad ovest, che ha comportato ulteriori ritrazioni con la stessa carica di batteria).
Soddisfare quell’imprevista opportunità, indi coprire la destinazione originariamente pianificata – non presente nel succitato filmato, ma realizzata durante lo stesso volo – è stato un tutt’uno.
Cosa intendo significare?
Che per operare così occorre essere spagnoli.
Essere spagnoli?
Sì, “trabajar”.
Il verbo che i nostri cugini iberici impiegano per designare il lavoro ben illustra l’impegno che un drone richiede per essere sfruttato appieno.
Nella lingua italiana è rimasto indizio di ciò nel lemma “travaglio”, e a questo punto avete ben compreso di cosa si tratta.
Costa fatica, saper pilotare un drone efficacemente.
Sapete, il tempo passa e gli automatismi di guida nei droni migliorano.
Migliorano, ma siamo ancora molto lontani da una resa ottimale.
Così, se vi è una stringente impellenza, scordatevi il loro utilizzo.
Bisogna saper fare, subito e senza tentennamenti.
E ciò implica, pratica, pratica, pratica.
Un ingente numero di ore in volo, almeno centomila chilometri in aria.
Configurare ogni tasto/funzione disponibile sul telecomando, e raggiungerlo con rapidità e consapevolezza.
Giostrare con ogni comando simultaneamente.
Graduare con separata – benchè simultanea – e differente intensità ogni azionamento.
Rimembrare ogni regolazione fine pregressamente impostata nel software, e trarne giovamento.
Ecco, questo serve.
Cose continuamente accadono.
Su di noi cade l’onere di ricavarne piacere, ma ciò è possibile solo se ci siamo adeguatamente preparati.
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Claudio Trezzani
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