C’è un brano di Alan Brandt e Bob Haymes, uno standard jazz solitamente trattato come ballad.
Si chiama “That’s All” e, melodicamente, è degno del peggior Beethoven.
Chi pratica entrambe i generi, capirà la semicelia.
Il fatto è che ripete ossessivamente gradi d’arpeggio, sia in A che nel ponte.
Poi però l’armonia interviene.
Ancor più intervengono, rispetto all’armonia data, le sostituzioni dei vari esecutori.
Ma la melodia , con la sua greve architettura, è lì ad appesantire.
Certo, i migliori solisti la lavorano.
Ma il punto di svolta è la parola.
Se cantata, anziché suonata, per ciò stesso la melodia assume novelle pieghe.
La parola, con la metrica, differenzia e cesella da subito.
Un “sol” ha la stessa altezza del successivo, ma il primo è rivestito della sillaba “on”, mentre il secondo si dilata in un “give”.
E ciò precede il significato.
È una pregnante modellazione curva, che, tornendo, arricchisce.
È suono nel suono.
Ma quando la parola vale pel significato, le cose si complicano.
Gerardo Bonomo, con il suo consueto acume, notava come quando i costruttori di fotocamere hanno cominciato a fabbricarle di plastica anziché di metallo, è spuntata fuori la definizione “macron rinforzato in fibra di vetro”.
Ovvero, una altisonante perifrasi per far digerire la non del tutto gradita innovazione.
Ed è lo stesso Gerardo che ci informa la Mamiya 7 venir familiarmente chiamata “Leicona”.
Che fa il paio con “Hassy”, come gli affezionati chiamano il pregiatissimo cubo svedese che è andato sulla luna.
Ecco, giorni fa rimiravo una bellissima fotografia di David Zhornski realizzata proprio con una Hasselblad.
Poi mi scappa l’occhio sulla sovrastante descrizione, e vedo che la chiama “blad”.
Si “-blad” come la terminazione del cognome del costruttore, non “Hassy”.
“Blad” come lama, e il pensiero corre subito a quello che gli anglosassoni denominano, di un obiettivo, “razor sharp”, e che noi diciamo affiliato come una lama.
Ed è vero, la Hasselblad monta dei vetri incisi, che rendono le fotografie nitide e microcontrastate
Ma ho sbagliato a leggere sopra.
Avrei dovuto guardare la fotografia e basta.
Lì c’era già tutto, senza bisogno di parole.
Ecco: la parola che ha aggiunto condimento alla ballad, nell’immagine è pleonastica.
E possiamo raccordare la riflessione prendendo spunto dal fatto che abbiamo nominato la nitidezza.
Vedete la seconda immagine a corredo di questo brano?
È una tabella che spiega l’acutanza.
E le due microfotografie che contiene, illustrano più di mille parole.
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Claudio Trezzani
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