Chiese, campanili, battisteri: edificati sulla parallela spinta della propalazione di messaggio e dell’instaurazione di status, ipso facto costituiscono un soggetto d’interesse fotografico.
Qui tratto della loro illuminazione notturna, che non potrebbe essere più variegata. In questa puntata mi occuperò dei campanili.
Un primo draconiano criterio è relativo alla presenza od assenza, della summentovata illuminazione.
Sarebbe intuitivo argomentare che la presenza di illuminazione notturna è direttamente proporzionale alla rilevanza del sito, il che condurrebbe all’equazione illuminazione = disponibilità di risorse.
In realtà non sempre è così. Si registrano casi di cattedrali di capoluoghi di provincia poco o punto illuminate, e per converso a macchia di leopardo sono rinvenibili luoghi di culto che i più considerano marginali ove è stato compiuto ogni sforzo per una loro valorizzazione notturna. In parte questo fenomeno è ascrivibile a differenti sensibilità e concezioni, ma non è su questo aspetto che intendo diffondermi.
Mi atterrò invece ad una descrizione delle diverse tecniche.
Sempre rimanendo ancorati ai campanili, un primo discrimine è costituito dalla distribuzione in una situazione di parzialità, dell’illuminazione. Consideriamo dapprima un campanile sprovvisto di motivi ornamentali esterni, cuspidali e/o aggettanti. In tale tipologia, l’orientamento prevalente è quello di volgersi alla cella campanaria. Dunque: campanile tutto buio tranne il vano delle campane. È questa la soluzione più diffusa laddove si è deciso di improntare a parcità (uso questo termine per non connotare l’intenzione in chiave meramente economica) l’illuminazione, ma in rari casi si assiste ad una scelta diversa: tutto buio tranne il cerchio o quadrante dell’orologio (cerchio quando l’orologio risulta incassato nella superficie del campanile, con ciò rendendo più agevole l’isolazione della parte). Se invece si è deciso di illuminare entrambe le succitate porzioni, la situazione mi fornisce l’occasione per introdurre un ulteriore elemento d’analisi: l’eventuale differenza di temperatura di colore delle illuminazioni impiegate. Capita così di osservare un orologio percepito come bianco/azzurro, e sopra scorgere una cella campanaria da cui filtra un bagliore giallo/arancio.
Nei casi in cui siano presenti elementi ornamentali quali statue sommitali o attorno il vano campanario, la situazione muta notevolmente, poiché a cangiare sono le priorità: tali manufatti vengono vissuti quali elementi da evidenziare, e gli sforzi illuminatori vengono verso d’essi convogliati. Qui però sopravvengono complicazioni tecniche: la contorta tridimensionalità di questi manufatti presuppone uno studio specifico dell’illuminazione, che spesso viene a mancare. Per difetto di intensità o – istanza di maggiore importanza – di combinato orientamento, assistiamo ad illuminazioni imperfette che subiscono passivamente le sinuosità presenti. Il risultato è una illuminazione che nulla svela dell’effettivo sviluppo del motivo ornamentale. Nel caso in cui la statua sia sommitalmente collocata, le difficoltà paiono diminuire, pur senza esaurirsi. Purtroppo, senza nemmeno addentrarsi sulla necessità di una applicazione parcellizzata di graduata modulazione, non è raro il caso di fari direzionali posti troppo in basso e/o non sufficientemente potenti, in modo tale non solo di non consentire una armonica illuminazione del manufatto, ma addirittura da lasciare nell’oscurità i suoi tratti somatici superiori.
In casi molto sporadici si assiste ad una situazione inversa tra chiesa e campanile annesso: illuminata la prima, al buio il secondo.
Dopo questa disamina, il caso che presento qui, con le foto allegate, contraddice le situazioni esaminate: il sito non è annoverato tra i maggiori, eppure l’illuminazione è non solo presente ma diffusa (fatta eccezione per la porzione cuspidale del campanile).
Da tutto ciò si evince che la situazione italiana dell’illuminazione notturna sui luoghi di culto è tanto eterogenea quanto lacunosa.
PS: tra le due fotografie a corredo ve ne è una in prospettiva comunemente appellata “a volo d’uccello”: molto raramente vi indulgo, per le indesiderate deformazioni prospettiche che introduce. In questo caso, tuttavia, obtorto collo ho reputato utile adottarla, per una rapida contestualizzazione della situazione specifica.
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