L’esercizio

Stanza degli interrogatori.

Gli interrogati entrano uno ad uno, senza possibilità di consultarsi.

A ciascuno viene posta un’unica domanda: “cos’è questo”?

La stanza è buia, ma su di un muro è proiettata una immagine.

È quella a corredo di questo brano, che ho fotografato quando ero nella stanza.

Fanno entrare un contadino.

Risponde: “un pozzo”.

Poi un naturalista: “vi sono esemplari arborei di…”(non posso essere più preciso, in quella fase non ero nella stanza).

Indi un podista: “un percorso inadatto, troppo accidentato”.

Un amministratore: “per rispondere occorre rivolgersi al catasto”.

Un politico: “una risorsa vegetale da valorizzare”.

Un cacciatore: “è dove si infratta la preda”.

Uno storico: “un fulgido esempio di archeologia industriale”.

Un muratore: “un lavoro da ritoccare”.

Un architetto: “una ciminiera”.

Un ornitologo: “un gufo”.

Un pittore: “il luogo dei colori complementari”.

Un fotografo: “un sensore digitale quadrato attorniato da una baionetta d’innesto/obiettivi”.

Chi ha ragione?

La logica ci suggerisce: “il fotografo, perché da valutare è una fotografia”.

Logica, filosofia.

Un modo per imbrogliare.

Perché il fotografo è l’unico che ha sbagliato.

Be’, anche il contadino non l’ha imbroccata, ma proprio perché non è… fotografo.

Non conosce il fenomeno della compressione dei piani, ignora che il manufatto al centro dell’inquadratura – la sommità di una ciminiera – dista decine di metri d’elevazione dal terreno che l’attornia.

Tutti gli altri non hanno errato, ma hanno fornito risposte parziali o elusive.

Anche l’architetto, beninteso.

Ha individuato l’ambigua rotondità, ma nessuno ci garantisce che sappia interpretare il contorno.

Lo storico è stato sì pancomprensivo, ma vago.

Un bel pasticcio, insomma.

E non senza sorpresa.

Perché questa fotografia non è una tavola di Rorschach.

Non è un disegno astratto concepito e realizzato per innaffiare le sinapsi di un paziente psichiatrico.

È invece una cosa che c’è “in realtà”.

Una cosa non manipolata, offerta senza interventi esterni.

Ergo, avrebbe dovuto esserci unanimità di valutazione tra gli interrogati.

Perché non è avvenuto?

Perché ciascuno, come comunemente si dice, vede quello che vuole vedere.

Con tre filtri: interesse, cultura, emozione.

Ed è un percorso obbligato, checchè se ne creda.

Non si può rinnegare una inclinazione, disconoscere un dato pregressamente introitato, reprimere un moto dell’animo.

Ecco la forza della Fotografia come medium:
non si era lì, non si è obbligati ad ammettere la cruda – perché univoca – realtà.

Sì, non crudo, brutale, il materiale che abbiamo.

Duttile e poliforme, piuttosto.

E sì, ci permette di dire: “è un sensore digitale quadrato attorniato da una baionetta d’innesto/obiettivi”.

 

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Claudio Trezzani

https://www.saatchiart.com/account/artworks/874534

 

 

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