A cosa ancorarsi?
Non c’è bisogno di condurre un natante per trovarsi nella necessità di cimentarsi con questo dilemma.
Misurarsi, è la parola più appropriata.
Perché di entità geometriche si tratta.
Che – loro non lo sanno – instaurano reciproci rapporti.
Noi lo sappiamo, purtroppo.
Purtroppo, perché talvolta non c’è rimedio.
Talaltra, deleghiamo una intelligenza artificiale.
Qui comincia la storia di opportunità, soluzioni, fraintendimenti, cantonate.
Il mio drone zenitalmente va a caccia di geometrie, lo sapete.
Le trova sempre, ma non sempre è soddisfatto del loro accostamento.
Qui subentriamo noi.
Non scattare, talvolta è la più brillante delle soluzioni.
In altri casi c’è bisogno di fare cose, dopo.
O di farle fare, ma non da umani.
Prima fotografia a corredo di questo brano.
Accidenti, l’area coltivata sotto vorrebbe essere allineata al lato corto delle due strutture di copertura, ma non ce la fa.
Non ce la fa, perché lì è slabbrata.
Sopra poi, pende.
A cosa allinearsi, se è il caso?
Qual’è la presenza forte nell’inquadratura?
Le sue strutture.
Sotto alle tre figure geometriche vi è una linea – anche se non del tutto gradita, nuoce alla pulizia formale – che ribadisce un possibile orientamento.
Ci ancoriamo a questo parallelismo?
Prima facciamo delle prove.
Girate l’immagine di novanta gradi a destra.
Come dite, non riuscite?
Suvvia, ricordatevi di disattivare l’orientamento automatico dello schermo, se state guardando da smartphone e tablet (un giorno dovrò occuparmi sotto il profilo sociologico, di questa cosa qui…).
Bene, ora avete girato.
Cosa avete ottenuto?
Che l’inquadratura ora rende giustizia del lato lungo delle coperture, ma c’è troppa dispersione in alto.
Altri novanta gradi.
Ancora, non funziona.
Si forma una brutta scala trasversale, sotto, e la riga sopra diviene greve come un macigno.
Ultima possibilità prima del ritorno alla base.
Sì, altri novanta gradi ci mostrano, speculari, gli inconvenienti della prima rotazione.
Ricapitolando: meglio il primo aggancio.
Seconda fotografia.
Qua la riga sotto è importante.
Assieme alla sua perpendicolare sulla destra (a sinistra si pasticcia un po’), mette ordine.
Sì, mette ordine.
Perchè gli scolari sono indisciplinati
Li mette in riga, letteralmente.
Loro vorrebbero dimenarsi.
Quello sopra a sinistra è un letto storto con due cuscini stropicciati.
E tutti gli altri, tirano per la giacchetta.
Non giungono a stravolgere l’intonazione, ma la soffrono.
Terza fotografia.
Esclamiamolo a voce stentorea: “Imperativo Verticale!”.
Perché è lì che si fa ordine, lì giace il famoso Aggancio Logico.
Altrove regna un fastidioso caos.
La porzione maggioritaria cromaticamente omogenea dell’inquadratura non è un perfetto quadrato.
Al di là della misura dei lati, quello orizzontale in basso non è parallelo al suo omologo.
È invece lungo i lati verticali che si sviluppa una forza propulsiva.
Vi è parallelismo, e ciò che succede a lato se di primo acchito pare ininfluente ai fini di una determinazione vettoriale, ad un secondo sguardo asseconda la lettura verticale, con il rettangolo color ocra che – al contrario di quello verde adagiato ai piedi dell’immagine – partecipa della forza della figura principale per collocazione e cromia.
Il fotografo ha operato scelte al momento dello scatto nel decidere l’inquadratura.
L’orientamento è stato postproduzionalmente confermato, indi è arrivato il momento degli aggiustamenti fini.
Essi non riguardano solo una limatura fine dell’inquadratura, ma anche una lieve aggiustatura dei rapporti prospettici.
Di quale mezzo servirsi all’uopo?
Sopra scrivevo: “in altri casi c’è bisogno di fare cose, dopo.
O di farle fare, ma non da umani”.
Ecco, occorre avere la mente fresca, qui.
Riposiamoci, abbiamo detto troppo.
Alla prossima puntata l’intervento umano e non.
Ci occuperemo di una giungla meno fitta, e di come usare il machete con delicatezza.
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Claudio Trezzani
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