L’aggancio logico. (Seconda parte)

Nella puntata precedente eravamo nella giungla.

La vegetazione era fitta, difficile districarsi.

Troppe relazioni reciproche si erano instaurate, il raggiungimento dell’armonia una chimera, si sarebbe detto un tempo.

Molte entità geometriche, ciascuna da comporre in un insieme convincente.

Convincente in quanto coeso.

Ciascuna porzione alludeva ad una propensione, ma non sempre la estrinsecava in forma compiuta.

Le scelte generali, però, erano state fatte.

Dopo esserci addentrati in quei meandri, rimaneva un ultimo compito.

Quello di una rifinitura dei rapporti prospettici.

Non necessariamente da svolgersi manualmente, dicevo.

Ecco, è quello di cui ci occupiamo qui.

Non siamo più nella foresta, stavolta.

C’è una radura.

Fuor di metafora, una semplificazione del segno.

Meno affollamento, meno elementi da conciliare.

Tre fotografie allegate a questo brano.

Sì, un progressivo avvicinamento.

Sempre meno acqua, sempre più struttura.

Nella prima parla di più il braccio.

Nella seconda se ne vanno snodi.

Nella terza protagonisti sono rettangoli e quadrati.

Ecco, quadrati.

Il sorvegliato speciale è la tettoia verde che s’incammina via via verso il centro.

È attenzionata – orribile neologismo – anche dall’Interpol, quella tettoia lì.

Perché con i grandangoli che i droni montano ci vuole niente a che il crimine vada perpetrato.

Un attimo di distrazione, e l’ortogonalità se ne va.

Qua – usando griglie, ma può bastare l’area di messa a fuoco che si posiziona automaticamente al centro – non è poi così malaccio.

Eppure il vaglio finale dell’uomo o del non uomo non guasta mai.

Già, del non uomo.

Photoshop ha dentro un genietto, Capture One altrettanto.

Il secondo è riservato ai dorsi digitali compatibili, il primo si scervella anche con files provenienti da fotocamere non censite.

Scervellarsi a far cosa?

Ad operare una regolazione fine dei rapporti prospettici complessivi.

Raddrizzare tutto, o solo singoli assi.

Si fa presto a dire raddrizzare, ed infatti repente me ne pento.

Tentano di ricomporre ad una unità congruente, piuttosto, questi genietti qui.

Quando ce la fanno, possono fare meglio dell’uomo.

In altri casi, pigliano sonore cantonate.

Letteralmente, quando di tratta di angoli.

Eccoci di nuovo all’aggancio logico.

Trovano linee forti, su di esse modellano la regolazione fine.

Ne trovano di deboli, e le scambiano per forti.

E la regolazione, non è più fine.

Prendono l’immagine, e la brutalizzano come farebbero due mani su di un esile foglio di carta.

La logica, appunto.

Ci abbiamo messo secoli, quaggiù, ad affinarla.

Come suo figlio, il discernimento.

Sapere su cosa intervenire, è nostra conquista.

Ma è una lotta, e di quelle entusiasmanti.

Toreare come in arena tra il dato e la ricerca del plausibile.

 

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Claudio Trezzani

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