L’accoltellatore del mare

Il nostro cervello è strutturato in modo che fa affiorare al livello della conscietà una sintesi di ciò che effettivamente percepiamo. È ciò che ci “colpisce”.

Dunque, anche se la vista ci restituisce una versione “oggettiva” (benché mediata dalla peculiarità dell’organo) della realtà, già in prima battuta viene operata una selezione.

E in fotografia?

Ruotiamo sempre attorno alla questione del “less is more”, ma in maniera articolata e variabile.

La fotografia a corredo di questo brano costituisce un esempio dei diversi fattori in gioco.

Isolata spiaggia, alba.

Pochi e smorzati suoni, rarefazione di toni e di presenze.

Un uomo in acqua è intento in una operazione ripetitiva.

Ancora oggi non so di cosa si trattasse, dovrei chiedere ad un pescatore.

Uso un teleobiettivo. Avessi usato in grandangolo, non avrei comunque beneficiato di una indiziante contestualizzazione. Tutt’al più, avesse l’uomo lasciato qualcosa a riva, avrei potuto congetturare qualche correlante legame.

Avessi incontrato qualcuno, mi avrebbe potuto delucidare.

E se quel qualcuno mi avesse sussurrato la soluzione dell’enigma al momento dello scatto?

Be’, ciò avrebbe mutato la mia consapevolezza, ma non il taglio semantico della ritrazione.

Ovvero: avrei saputo cosa stava effettivamente facendo l’uomo, ma la fotografia non l’avrebbe altrettanto saputo.

Diversamente, un filmato – anche a parità di inquadratura – solo avesse incluso la relativa traccia audio, avrebbe svelato l’arcano.

Non è una manichea contrapposizione oggettività/soggettività, poiché abbiamo visto che anche la condizione “totalizzante” (la vista, anche con la rotazione del capo, abbraccia un ampio angolo di campo, ed inoltre vi sono suoni – quelli sì, potenzialmente illuminanti – ed odori,) della percezione umana va… soggetta (appunto) ad una interpretazione individuale, ma evidenzia che il taglio fotografico porta la soggettività – priva di ausili”esterni” – a livelli di ulteriore prosciugamento del segno, conducendo in un imprevedibile altrove.

Così, in questa fotografia – che non solo esclude sensi, ma isola con l’ingrandimento – il soggetto rimarrà sempre “l’accoltellatore del mare”.

Tale era stata, in guisa metaforica, la mia prima impressione, pur suscettibile di contestuale smentita sul piano razionale e di affinamento dell’interpretazione tramite il ricorso ad informazioni eteroacquisite.

Ma l’immagine, quella no.

Abbiamo licenza, guardando essa, di ritenere per l’eternità quell’uomo un accoltellatore del mare (o dell’acqua, se preferiamo ulteriormente astrarre).

Ecco, la Fotografia: il luogo ove la metafora s’incarna.

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Claudio Trezzani

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