La scala di grigi & la pudicizia

Ryuichi Watanabe nel 2015 ha fatto una fotografia brandeggiando una Leica Monochrom 246 con su montato il 28 Summilux.

Come dice l’eccellente Vittorio Bottini, si riconoscono le immagini realizzate con tali prelibati accoppiamenti.

Ariose, succose, dico io.

Ma c’è anche un’altra cosa.

Ryuichi al tempo parlò di semplicità ed essenzialità giapponesi.

Proprio così. Haiku, less is more, questo genere di cose qui.

Una cosa però Ryuichi ha omesso.

Non ha parlato di pudicizia, proprio perché lui stesso è pudico.

Tenere morbida la scala di grigi rivela pudicizia.

È una cosa che viene con la maturità: non premere sul contrasto per non sopprimere le sfumature.

Ma è un dato, oltre che culturale, caratteriale.

Ryuichi riproduce la semplicità e l’essenzialità che ha di fronte, eppoi pudicamente si ritrae, come faceva Valerio Sartorio.

C’è invece un suo connazionale, Hengki Koentjoro, che non si mette pudicamente di lato.

Invece, mica tanto.

Perché sono le due facce di una stessa medaglia.

Ryuichi ammorbidisce, Hengki esaspera. Il nero è più fondo, il bianco più squillante.

Ma le due cifre espressive sono al servizio del medesimo fine: far risultare la virtù della parcità.

Sì, della semplicità ed essenzialità.

Plurime le frecce alloggiabili in faretra, in Fotografia.

E tutte, da diversa angolazione, colpiscono il bersaglio.

 

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Claudio Trezzani

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