La salita in discesa?
Ciascheduno ne ha contezza: vi sono luoghi nel mondo ove particolari condizioni ottiche ingannano – a meno di non saggiare il percorso muscolarmente o con mezzi dotati di capacità calcolatoria – sul reale orientamento (salite che paiono discese, o vice versa).
E del resto, sul piano cogitazionale, potremmo risolvere la cosa a la Bertoldo (il simpatico personaggio di Giulio Cesare Croce), demandando la soluzione alla direzione.
Qui, però, siamo ad introdurre variabili che discendono dal mondo dronuale, visto come estensione dell’esperienza sensibile.
Sì, estensione dell’esperienza sensibile.
Ciò ci conduce alla fotografia allegata a questo articolo, nonché al suo ritaglio.
Sì, lo so che avete il coraggio di sporgerVi, quando Vi affacciate ad un balcone.
Non così tanto, epperò.
AvresTe spiccato un suicidiario volo, in questo frangente: troppo distanti longitudinalmente dal punto di osservazione.
Cosa ne discende (…letteralmente)?
- che solo ad un drone tale ritrazione è possibile.
- che essa determina un orientamento inedito.
- che il summentovato orientamento inedito catalizza una dilatazione percettiva.
- che questa dilatazione percettiva suggerisce interpretazioni aliene.
- che da questo pilotato equivoco – sul filo della suspension of disbelief di coleridgiana memoria – scaturisce una lirica suggestione.
La presenza di automobili perentoriamente sancisce: il “basso” è lì.
Ergo, i balconi sono presi dall’alto.
Dall’alto di un drone, giova ribadire.
Giova farlo perché l’uomo dal balcone – l’ordinarietà dell’esperienza sensibile – non avrebbe potuto godere della stessa prospettiva.
Prospettiva – quella dronuale – che genera un senso di apparente inclinazione.
Inclinazione che non deriva da un orientamento imputabile ad uno scostamento dalla zenitalità:
l’obiettivo del veivolo è rigorosamente perpendicolare al suolo.
Essa è invece dovuta alla natura grandangolare della lente montata, con le tipiche – in certa misura, ineludibili – fughe prospettiche a mano a mano che ci si allontana dal centro del fotogramma.
Il risultato, allora?
Che la mente umana accoglie la progressione discendente dei balconi come una salita.
Accoglie, per l’appunto.
Piace, alla mente umana, considerare la visione in tal guisa.
Vorrebbe comandare al corpo d’arrampicarvicisi, anche se sa di non potere.
E l’onirica sensazione è tanto maggiore quanto l’attenzione – vedasi ritaglio – si focalizza sul particolare.
Che poi è una questione di rarefazione del dato: quanto meno sappiamo, tanto più possiamo immaginare.
Sapete, abbiamo appena parlato di “potere” in senso privativo: vorremmo, sappiamo di non potere.
Ebbene, è precisamente questo il Potere della fotografia:
anelare ad una azione che non ci è concessa, ma il cui vagheggiamento è stato originato da una interpretazione del veduto mediata dal mezzo.
Il potere di non potere, ed insomma.
Solo qui inizia il Vero Volo.
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Claudio Trezzani
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