Densa notte.
Puntuto rilascio d’arborei aromi.
Serici liquidi fruscii.
Sono entro una ligure appartata plaga.
L’oggetto concupito è uno scabro triangolo bagnato da flutti amici.
Ma già persistere appaga.
Diffusa intimità, senza curarsi dell’ossimoro.
Teneramente avviluppato, eppur l’obiettivo fotografico punta al sassoso grumo.
Sulla spiaggia chiedo ausilio ad una ponderosa torcia, tale è l’oscurità.
L’otturatore rimarrà aperto per svariati minuti.
Ecco spiegata l’apparente luminescenza dello scoglio, nonché il giocoso virare di cromie.
Poi, non resisto.
La spessa oscurità mi concede completa nudità e il tuffo ne costituisce ineludibile corollario.
Nuoto verso il feticcio di pietra, senza raggiungerlo.
Ora sono tonificato, come usano dire.
Grondo ciò che mi s’offriva, direbbero che ne sono permeato.
Troppo, epperò.
Per la fotografia non va bene.
La fotografia sono queste due a corredo del presente brano.
Non va bene intridersene troppo.
La fotografia non sono io ignudo e gocciolante.
No, sono queste due qui allegate.
Il microisolotto è laggiù, con (im)percettibile palpitazione.
Sovrano del suo spazio inviolato, solenne cattedrale d’indulgente condiscendenza.
Ecco spiegato il titolo di questo articolo.
La risultante distanza.
Per partecipare senza prevaricare, porsi a lato.
Ancora una volta, la Fotografia è il luogo ove la metafora s’incarna.
All rights reserved.
Claudio Trezzani
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