La Relatività

No, non sto per introdurre Galilei od Einstein.

Non appiccicherò al termine l’aggettivo Ristretta o Generale.

Non parlerò di invarianza o di sistemi di riferimento inerziali.

Non ne sarei in grado.

Piuttosto, la Relatività di cui m’occupo qui ha ancora a che fare con le platoniche caverne.

Primo filmato a corredo di questo brano, da me realizzato a riva del lago di Como.

Sopra il lago, sotto una canalina ornamentale, propaggine laterale di fontana.

Due velocità?

Intrinsecamente, sì.

Ma cosa percepisce l’essere umano?

In prima battuta, uno spaesamento.

La mente esita nel ricercare un significante primario.

L’elemento di sicura valutazione è lo zoccolo in pietra.

La psiche umana, però, è attratta dal movimento.

Retaggio del binomio preda/predatore, entrambi i ruoli ricoperti.

Qui iniziano in problemi.

Sopra, confusione.

Letteralmente, ondivagità.

Sotto, saldezza di direzione.

Saldezza messa a repentaglio da marginalità.

Sì, la parte sotto non solo attrarrebbe, ma anche conferirebbe chiave di lettura.

È però dimensionalmente minoritaria nell’economia dell’inquadratura.

Secondo filmato.

Non è più subordinata la canalina, ora.

Trionfa centralmente di un tripudio vettoriale.

Galeotti gli steli, però.

Non rappresentano una ordinata teoria.

Il vento li piega a lato, disordinatamente.

Ma hanno identità verticale, la loro sembianza di frecce suggerisce allo sguardo un andamento verticale.

Nel sistema di forze, la spinta verso l’alto non è secondaria, ma neppure preponderante.

Terzo filmato.

È tratto da un video commerciale, ed è ulteriore vertigine per il cervello.

Cosa si muove?

La chiatta.

No, non lei.

E non è neppure una chiatta.

È un manufatto fisso nell’acqua.

A muoversi è ciò che si direbbe invece terraferma da cui si assiste all’evento.

Avete già capito: l’operatore è su di una barca che si muove traslando.

Duplice inganno di duplice natura, dunque.

Aver mal interpretatato la relazione stasi/movimento.

Ed aver equivocato sull’essenza di un elemento.

Eccole qui, le platoniane caverne.

Ingannarsi sull’articolazione del reale, per parzialità di percezione.

Ed eccolo qui ancora, Galilei.

Concepiva l’universo come entità di cui decifrare la lingua.

Così elevandosi sopra “l’oscuro lebirinto (sì, con la “e”, ndr), diceva.

Ma è a noi leopardianamente dolce cullarci in questo lebirinto.

 

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Claudio Trezzani

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