The Boat Show.
A dispetto del nome inglese ve ne è una versione italiana che – grazie anche al recensore Maurizio Bulleri – è migliore (more accurate, direbbero i colleghi statunitensi) – dell’edizione d’oltreoceano.
Orgoglio italiano, eddunque.
Ma non è su questo che intendo soffermarmi.
La troupe al seguito effettua riprese terrestri e dronuali.
A corredo di questo brano vi è uno screenshot che ho tratto da uno dei loro filmati.
La visione d’insieme, pur non mostrando la totalità dell’oggetto, permette di riconoscere una barca a vela.
Peritiamoci indirizzare lo sguardo in alto, epperò.
Ah, così si apre un mondo.
Il ritaglio effettuato sulla seconda inquadratura qui allegata ci permette di sondarlo.
Ora siamo al cospetto di una meravigliosa immagine di sapore astratto.
Non è più una vela: è divenuto un potente grafismo.
I pesi sono efficacemente distribuiti.
Il cielo a destra spezza quanto basta, ovvero senza preminenza.
L’andamento verticale inclinato trova adeguato contrappunto con l’arcuata scansione orizzontale.
Il segmento nero aggiunge forza semantica alla porzione superiore, bilanciando la maggiore estensione del motivo inferiore.
I serpentelli verdi, poi.
Spiccato interesse riveste la loro presenza.
Quasi pittogrammi di spermatozoi, per colore e forma vivacizzano l’intera composizione.
Il percorso erratico delle loro propaggini suggerisce un mosso dinamismo.
Stiamo assistendo ad uno scenario che promana ad un tempo quiete (bilanciamento) ed energia cinetica.
Sì, stiamo assistendo.
Perché è un processo in fieri: le cordicelle verdi un attimo prima assumevano una diversa forma, al pari di un attimo dopo.
Fosseci stato lì un fotografo intrigato dalla cangiante progressione, avrebbe calato il dito sul pulsante di scatto nell’istante che più gli aggradava.
Ecco, fotografi oppure no.
Già una volta, in questa rubrica, avevo condotto con voi il gioco di “chi vede cosa” (in quel caso si trattava della sommità di una ciminiera inquadrata zenitalmente e ravvicinatamente con un drone).
Il concetto è intellettualmente entusiasmante: una stessa cosa è potenziale scaturigine di una miriade di differenti suggestioni.
La cui coglizione non è necessariamente separata.
Piuttosto, è suscettibile di contingenti priorità e stemperate assaporazioni.
Ad esempio: per chi in quel momento era addetto alla vela, l’urgenza interpretativa era determinata dalla necessità di apprendere la direzione del vento dal comportamento dei filamenti.
Ciò non toglie che quella stessa persona, terminata la fase dell’istanza utilitaria, sarebbe stata in grado di
abbandonarsi alla seduzione espressiva di quella danza di segmenti.
Siamo sempre lì, Voi lo sapete: la Fotografia è il luogo ove la metafora s’incarna.
In letteratura si immagina, qui si vola sull’esistente.
Stiamo parlando di cose marine, dopotutto.
Leggiamo allora come definisce la liquida distesa – di notte – una maestra della penna come Jane Gardam:
“ansimante e muscolosa pelle nera dell’oceano (traduzione di Alberto Bracci Testasecca da “Old Filth”)”.
Notte e giorno, autore e fruitori.
Polivalenze percettive.
La Fotografia è lì a gioiosamente cavalcarle e porgerle.
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Claudio Trezzani
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