“- Peccato non avere la macchina fotografica, – dissi guardando il panorama in tutte le direzioni.
– Peccato, sí. Ma chi poteva pensare che ci servisse?-“.
È un dialogo tratto da “Le tre del mattino” di Gianrico Carofiglio, Einaudi, 2017.
A noi della Setta Segreta Della Fotocamera Al Collo l’affermazione giunge stretta.
Nella nostra religione parlare di mera utilità suona blasfemo.
Siamo spinti da necessità interiore, noi.
E che si manifesta con pressante incessanza, mica sporadicamente.
Per i profani e profananti – i bestemmiatori – l’otturatore è premuto, invece, solo in circostanze topiche e convenzionalmente rituali (nel summentovato caso si trattava di un panorama marino, appena fuori Marsiglia).
C’è una selezione ad reductionem, in loro.
La macchina fotografica non fa parte della vita quotidiana, pensano.
Epperò il moto dell’animo è lo stesso di noi credenti: portare a casa un’emozione.
Ma in che forma, catturarla?
Gli apostati non hanno dubbi: che l’immagine sia calligrafica.
Una fotografia fedele per gli infedeli.
Noi, no.
Vogliamo lasciare l’impronta, noi.
Tanto, diversa è.
Sul posto vedevamo tutto, ma l’immagine che realizziamo non può che contenere una parte.
A noi punge vaghezza interpretare.
E allora andiamo ad Arenzano di notte.
La luna è inostruita.
Ciò le permette di dispensare oro al mare.
Questa l’impressione prodottasi.
Montiamo lo stativo e lasciamo che l’oro filtri con lenta inesorabilità nella scatola magica.
Siamo arrivati alle due fotografie a corredo di questo brano.
La prima di levigata impassibilità, l’orizzonte in perfetta medietà a generare astrazione.
La seconda in sornione appoggio, l’oro ora visibilmente cola, è allo stato di fusione e si fa lava.
Eccoci qua, noi dell’Oscura Confraternita.
Diversamente dai miscredenti, incarniamo metafore, l’aggeggio brandendo con le mani.
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Claudio Trezzani
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