Linea d’ombra.
È il titolo di una riuscita trasmissione televisiva.
S’ispira a “La linea d’ombra” (Shadow-line. A confession), potente introspezione di Joseph Konrad.
Ma già Caravaggio s’era occupato di ciò che s’annida nelle pieghe.
Non solo.
Caravaggio ha lasciato delle incisioni sulle tele.
Inizialmente si pensava servissero a pre-scontornare i soggetti, ora si tende piuttosto ad interpretarli quali segni di riferimento onde ricollocare i modelli esattamente nei punti desiderati dello scenario, nell’eventualità di sessioni multiple di posa.
Eccoci arrivati alla fotografia di Ildar Sadikov.
Ombre, e collocazioni.
La modernità balena (manufatto a sinistra, telefonino, banconote) ma non fa breccia.
No, la scena è antica.
E pittorica.
L’avventore che sullo sfondo a destra fuma è come tratteggiato ad olio.
I personaggi in primo piano esprimono una ieraticità mediata.
Di scultorea plasticità per pesata collocazione, purtuttavia s’arrotondano in umana declinazione.
Fanno cose comuni, e le fanno con noncurante identità di ruolo.
I giovani recano un faro nero che dal capo punta a terra.
Si, così pare.
Il vivido grafismo non esclude graduazione d’accenti: se a terra manichini sono, a livello del viso gli atteggiamenti sono ancora leggibili.
Così, gli altri.
Nitidamente stilizzati, eppur individualmente latori di umana unicità.
Dal panno alle scale, un arazzo con dentro una recita.
È Ildar Sadikov che fa danzare persone e cose.
Ma ciascuno è lì col suo fardello d’inesprimibilità temperata:
ciò che ha dentro in silente celato dialogo con ciò ch’appare, il ruolo dell’orchestrata azione.
La Fotografia può agitare il presente nel passato, riformular rivestendo.
Investe un fascio d’esseri, da loro trae succose ombre che traverso il sembiante gettano una ontologica illusione.
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Claudio Trezzani
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