In “La possibilità del velo” avevo accennato ad una sessione notturna, subito virando la disanima verso altri lidi.
Oggi ci occupiamo proprio di quella sessione notturna.
Che mi permette di affrontare una questione di frequente rinvenimento.
Se si fotografano con lunghissime esposizioni di notte pali o rocce in acqua non distanti dalla riva, questi soggetti risentono di una illuminazione residua tipicamente proveniente da lampioni.
A occhio nudo essa appare come una debole patina di colore solitamente giallastro.
Quando però l’apertura dell’otturatore si conta in minuti sorgono due problemi.
Il primo è la disomogeneità di un primo piano sovraesposto.
Il secondo è la dominante cromatica.
Qui ci occupiamo di quest’ultima questione.
Bilanciare il bianco in camera non sortisce effetti drammaticamente differenti da un intervento postproduzionale: in entrambe i casi ci si deve misurare con rapporti tonali sbilanciati ab origine da una sorgente di luce indesiderata.
Ciononostante, è possibile manopolare le singole tonalità alla ricerca di un equilibrio non trovato ma vagheggiato.
Ma risulta percorribile anche un’altra strada: la giostra su(r)reale.
Sì, come nel titolo di questo articolo.
È possibile intervenire sul reale per farlo divenire surreale.
Già il ricorso alla filtrazione bianconera permette d’instaurare inedite relazioni, oltre ad accantonare l’istanza della dominante: a seconda del filtro adottato avremo un rimbalzo di valore tonale tra i componenti dell’inquadratura.
Ma la visione surreale può scaturire dal giostrare con le cromie.
Dimenticato il primitivo aspetto, la roccia si fa palestra non già di ardite arrampicate ma di alternative cromatiche.
Ecco allora che il faraglione principia grondare sangue, come in una delle tre fotografie a corredo di questo brano.
Una volta di più la fotografia è stata mezzo per incarnare metafore.
Qui non intravedute, ma propiziate.
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Claudio Trezzani
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