Leggiamo Honoré de Balzac. Non lasciamoci ingannare dalla notarile quantificazione di rendite – vezzo tipicamente francese, peraltro – dell’ex scrivano. Né permettiamo alla nostra attenzione di risultare fuorviata dalla minuziosa descrizione di maggiorascati, titoli nobiliari, incarichi amministrativi. Questa è la cornice.
Quando però lo scrittore ottocentesco si occupa di persone il tratteggio psicologico – pagato tributo ai filtri propri dell’epoca, ancora al riparo di ciò che verrà sprezzantemente definito “il bisturi psicologico del Novecento” – ineluttabilmente emerge. Si, perché la palpitazione umana è cosa di cui l’umano non può non avvedersi. Ecco, la Comédie Humaine.
Trovi caratterizzazione nei ponderosi tomi del parigino o sia quotidianamente messa in scena nelle nostre strade, la seduzione deborda dai confini di uno spettacolo. Altra cosa che dipingere bottiglie? Si, avete capito: mi sto riferendo a Giorgio Morandi.
Perché il pittore bolognese si dedicava all’inanimato, così qualcuno lo immaginava misantropo, mentre Roberto Longhi lo collocava, monaco in cella, agli antipodi della torre eburnea in cui si rintana un esteta, ove la rinuncia alla ritrazione umana non configurava una fuga ma l’umiltà di attestarsi sulla mite quotidianità.
Prendiamo ora Pieter Bruegel Il Vecchio. L’umanità che dipinge è feroce è brulicante, questa la qualità della palpitazione. Formiche nell’arazzo complessivo, vividi veementi sbalzi se lo sguardo si sofferma sulla singola figura. Compresenza di taglio, dunque. Approdiamo allora ad Henri Cartier-Bresson e Gianni Berengo Gardin.
Con loro l’essere umano può essere sia pedina che accorato protagonista. Abbozzata silhouette che salta pozzanghera o viandante da collocare in un punto preciso di cipressato sentiero.
Ma anche struggente primo piano che protude l’animo verso chi guarda. Le diverse facce del poliedro: esercitare pudicizia su sé stessi e sugli altri non ritraendo del tutto od inscrivendo in ampio disegno l’umano; offrire un viso quale parlante microcosmo.
Nell’esclusione come nell’inclusione la condizione umana permane protagonista: ci rivela l’autore sia traverso l’inanimato che mediante l’animato. Si può attendere che una piazza si riempia oppure che si svuoti.
Non è il caso di scomodare Newton o la biologia: ogni cosa rivela l’entusiasmante flusso che tutto comprende ed interseca, l’imperituro dialogo tra il dentro ed il fuori di noi, vissuto od anche rappresentato.
In questa pluralità e completarietà espressiva il mio magnete sono i volti ed i gesti, e il mezzo fotografico è terreno d’elezione per sottolinearli: l’otturatore consegna alla posterità la sublime unicità di irreplicabili attimi vitali.
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Claudio Trezzani
Si ringraziano Gaia ed Angelo Bocchioli, soggetti della fotografia allegata a questo articolo, per la squisita disponibilità.
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