Considero di pregnante potenza una definizione di Vladimir Nabokov: l’Immaginazione come Muscolo dell’Anima. Noi fotografi ci rechiamo in palestra per svilupparlo?
Trovo la letteratura evochi l’immaginazione, ma in realtà la riduca laddove descrive più della fotografia.
Quale eresia la mia, la letteratura che descrive più della fotografia! Ordinariamente ci si figura il contrario: le immagini riportano una oggettività dettagliata ed univoca, per come presentano un “prodotto finito”, mentre la letteratura concede ad ognuno margine per rappresentarsi a suo proprio sentire lo scenario delineato.
Ma mentre lo spazio di soggettività concesso al lettore si muove all’interno dei binari concettuali tracciati dall’autore, vi sono altresì in fotografia ambiti nei quali l’interpretazione del veduto si apre al polisemantismo in una raggiera di sbocchi quanto mai estesa e variegata.
Vi sono gradi in questo, rispetto ai quali la fotografia a corredo di questo brano si pone in posizione intermedia.
La letteralità della lettura proclama: è una foto in visione zenitale, realizzata con un drone, di un promontorio che si affaccia su di una distesa acquea.
Questa letteralità può essere riconosciuta di primo acchito oppure no, determinando il grado di consapevolezza del fruitore: in altri casi la riconoscibilità può essere più agevole o per converso pressoché inibita
Ma il punto non risiede nella facoltà di chi guarda di avvedersi della raziocinante primigenia funzionalità: piuttosto, dimora nella potenziale esistenza di mondi che vivono nell’immaginazione del singolo osservante scevri dal condizionamento orientativo dell’autore. In questa accezione talora la fotografia può consentire di esercitare il Muscolo/Immaginazione ancor più di quanto consentito alla letteratura.
È questo un esercizio nel quale il fotografo e l’interprete potrebbero metaforicamente incontrarsi in palestra senza riconoscersi. Virtuosa guerra di contrapposti mondi, qualcosa che H.G. Wells potrebbe approvare.
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