La Fotografia Erotica

Vi siete mai chiesti perché un corpo abbronzato emana una sua peculiare attrattiva?

Personalmente sospetto – nulla più di ciò – che l’origine dell’attivazione neuronica risalga alla scoperta dell’uso del fuoco in chiave alimentare: l’essere umano, una volta imparato a cuocere il cibo, potrebbe aver sviluppato una particolare qualità di attrazione/soddisfazione legata alla vista/assaporazione di brandelli di carne non più rosseggianti ma affumicati.

Vedete, sono passato da una pulsione sessuale ad una gustativa.

La neuropsicologia non è ancora addivenuta a spiegare ogni connessione, ogni sinapsi, ogni relazione.

Una cosa però sembra assodata (verbo da usare con cautela in ambito scientifico, purtuttavia): determinate aggregazioni “funzionano” al cospetto di stimoli apparentemente distanti per ambito.

Se vogliamo interrogarci sulla semantica di una espressione gergale (e, come si suol dire, “volgare”) inglese – eat pussy – notiamo immediatamente la trasmigrazione situazionale: il verbo rinnega il suo significato d’elezione per assumere una valenza gustativa al di fuori della dinamica “trasformazionale”.

Da un esempio che pare di banale ristrettezza abbiamo attinto il senso del multiapplicabilità pulsionale.

Ma le due fotografie a corredo di questo brano non contengono corpi.

Una premessa, però.

Certo, qui stiamo trattando dell’eros, non dell’agapè o della philia.

Qualcosa che in psicanalisi si tende ad accostare alla libido.

Ma essa non si esaurisce nella fattispecie sessuale.

Prima che la pulsionalità divenisse appannaggio di specialisti con studi dotati di divani, Platone fa dire, nel Simposio, cose di suggestiva ispirazione a Diotima di Mantinea su Eros.

Fuori di mitologia, l’erotismo viene potentemente tratteggiato come una forza ondivaga, onnivora, ribollente tra oscurità e luce.

Che ci azzeccano, direbbe il noto ex magistrato, le due fotografie qui proposte con l’erotismo?

In una parola: la prima è erotica, la seconda no.

Prima, un vigoroso plauso ai due autori.

Dell’una Lucian Olteanu; della seconda Thensure Yang.

Cosa mi fa essere così draconiano, manicheo nell’attribuire la proprietà alla prima e negarla alla seconda?

È una sensazione immediata, del tutto priva di esitazione.

Verrebbe imprecisamente da dire: senza mediazione.

Una percezione animalesca, furiosamente istantanea.

Eppure la materia che comprende le due immagini è molto simile: lo sviluppo di binari, la scala di grigi, il trattamento stesso della luce è simile.

La prima però è carnale, ardente, succulenta.

La seconda è mirabilmente composta, sapiente e raffinata.

Ma è apollinea, non dionisiaca.

Nella prima mi tufferei.

Appunto, la “mangerei”.

La seconda la delibererei a distanza, quasi fosse un dipinto di Raffaello.

Cosa ha innescato questa differente percezione?

Andamento delle linee, uso della focheggiatura, collocazione del soggetto, taglio della luce: potremmo avanzare su questo terreno, e troveremmo, sì, diverse intelaiature strutturali fatte emozionali.

Ma ad imporsi è quella furiosa lotta tra mondo sensibile e mondo intellegibile intravista da Platone.

Una furiosa battaglia che si scatena in noi, di cui a conscietà ci pervengono succosi brandelli.

Tutto questo la Fotografia sa scatenare.

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Claudio Trezzani

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