L’incomparabile opportunità di avere uno sfondo neutro traverso neve.
Bambini giocano e paiono volgersi all’ombrello.
Non è così ma dovrebbero.
Perché quell’ombrello è una divinità pagana.
Icasticamente sbalzato dall’assenza di dettaglio di ciò che l’attornia, è un valore in sé.
Non fosse stato reso dialogico dalla collocazione nell’inquadratura – e dunque parzializzato nell’attribuzione di un peso relativo – avrebbe meritato un prolungato viaggio fotografico ad esso interamente dedicato, sino a lacerarsi i tendini che avvolgono le rotule ed assiderarsi mercè il clima.
Perché è così interessante questo ombrello?
Per cromie – esaltate dal limitrofo biancore – e per forme.
Già, le forme.
Il suo maggior pregio consiste nell’essere schiacciato.
In tal guisa rifugge la volgarità dell’estensione lineare.
Fosse stato interamente aperto, avrebbe palesato un disegno noto e regolarmente – prevedibilmente – scansito.
No, il suo vibrante fascino alligna tra – e dentro – le sue pieghe.
Curvature utilitariamente infruttifere ma oltremodo preziose quanto ad espressione.
La primigenia materia è rimodellata dal caso – da un gesto inconsapevole delle ricadute linguistiche – e genera un novello universo in cui segno e colore godono di inedita alchemica plasmatura.
Ecco, la fotografia.
Trae dal reale offrendo letture.
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Claudio Trezzani
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