“Il destrier c’havea lasciato / tra le più dense frasche”.
Ariosto.
Ma il ventaglio semantico della densità è… densamente ampio, se mi passate l’ossimoro.
Max Mene è riuscito ad esprimere questo concetto in una fotografia.
Il denso designa il fuoco, qui.
Denso – ove il nero è più fondo e penetrante – è il tronco su cui cade la nitidezza.
Un tronco ha reclamato attenzione, e ha chiesto al fotografo di determinare una illusione.
Perché il tono non muterebbe, rispetto ai suoi confratelli, la profondità dell’aeree non contribuisse alla sfumata stratificazione.
Esistono molte seducenti immagini di alberi in prospettica cadenza.
Ma qui l’evanescenza è controllata.
Vi è un rigore numerico nell’attribuzione del singolo peso che non inficia la gradualità della progressione.
Singole identità che riescono a comporsi in unità, ed insomma.
L’acqueo riflesso ammorbidisce ma non muta relazioni.
Non muta la densità d’esse, ancora.
Piuttosto, sfronda fronde, stempera irregolari articolazioni.
Ma non conta pescare.
Conta contare, senza davvero contare.
Dietro la facile alliterazione: è una scansione morbida eppur icastica la cifra stilistica di questo scatto.
Niente Ariosto, qui.
Non si va a celare.
Si va a fondere aritmetica, geometria e poesia.
Leonardo l’avrebbe preso come studio ottico in pittura.
Ma c’è di più.
Vibrazione, entro l’apparente insensibilità della giostra di valori misurabili.
Chi guarda si bea dell’arazzo complessivo, dell’orchestrata armonia, ma sa che esplorato il Tesoro dell’Albero
Denso ne troverà d’ulteriori con calibrata collimazione, proseguendo.
È invogliato a perdere l’infinito guadagnandolo, chi guarda.
Sì, Aritmetica, Geometria, Poesia.
Ecco, Fotografia.
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Claudio Trezzani
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