La cosiddetta Natura.

La così appellata economia di mezzi.

Minimalismo, less is more.

E’ la cifra stilistica delle due fotografie a corredo di questo brano.

Come ottenerla?

Il fotografo trova e compone.

A due livelli, compone.

Una prima volta lo fa quando sceglie l’inquadratura.

Con il taglio include ed esclude, è questo un comporre.

Lo è, ma opera su ciò che trova.

Il secondo livello del comporre è apporre.

Sì, apporre.

Partecipare alla composizione aggiungendo elementi, e nello stesso tempo stabilire cosa non mettere.

La maestria dei due autori qui presentati consiste nell’aver saputo esprimere parcità –  che diviene elevatezza per moto icastico – senza dover intervenire dentro la scena.

Senza intervenire, comporta di contemplare la Natura.

Ma cos’è la Natura?

Abbraccia poco e tanto, la definizione.

Rappresenta un polimorfismo semantico che consente sia precisare che spaziare.

L’etimologia latina rimanda a nasci, nascere.

Cosa nasce, e tuttavia?

Solo l’animato, solo l’organico?

E nasce, o piuttosto si trasforma?

Termine parallelo in greco è φυσις, generare.

In mano ai presocratici, è il divenire del mondo.

Ecco, il divenire del mondo.

Fotografi contemplano la Natura, il divenire del mondo, in cerca di sintesi.

Nel magmatico ribollire, anelano isolare, separare, sublimare.

Oleg Kozheltsev e Ramleh Kargar ci sono riusciti mirabilmente.

Oleg ha trovato il dialogo tra una retta naturale – l’orizzonte – ed una costruita – il dislivello in acqua.

Sotto l’effetto omogeneizzante  – purificante – della lunga esposizione null’altro interferisce, eccetto il contrappunto dei densi manufatti in campo medio.

Un delicato e calibrato bicromatismo evidenzia e distribuisce.

Grafie generano pesi, un quieto ordine aleggia.

L’immagine di Ramleh, ora.

Di parcità, un capolavoro.

E di assimilazione della congiura del caso, anche.

Il volatile è ignaro di partecipare all’orchestrazione, eppur prim’attore è.

Lo è non per invasività, ma per carica e cogenza intellettuale.

Fortemente voluto, eppur contenuto nella sua discreta presenza.

Non diverso in dimensioni, non concepibile diversamente collocato.

Reificato sì, per quanto inglobato nel generale grafismo, ma palpito d’animazione nella preponderante immotità.

Benedizione il cielo sia bianco.

Preziosi gl’indizi di verde, rosso e giallo nelle diverse facce del poliedro.

C’è molto Morandi nella temperatura emotiva della fotografia.

La pacata metafisica degl’interni, del pittore bolognese.

Ma qui – nella fotografia di Ramleh – nitore vibra.

Sì, nitore vibra.

Niente deborda, niente scompone.

Nemmeno tace, epperò.

 

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Claudio Trezzani

https://www.saatchiart.com/claudiotrezzani

 

 

 

 

 

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