La conoscenza

Il vostro drone sta sostando in hovering, come dicono gli anglofoni.

Significa che è fermo per aria.

È naturale questo atteggiamento?

Nossignori, lui vi direbbe di no.

Non è capace, lui, di stare fermo senza intervento altrui.

Sono leggeri, i droni.

Anche con poco vento, verrebbero portati a spasso.

Ciò che probabilmente non sapete, è che anche con poco vento si svolge un incessante e alacre lavorio.

É il Sig. GPS.

Alla maniera russica, come direbbe Mussorgsky, è il Compagno Glonass.

Attimo per attimo, uno di questi due signori (ma possono anche stare in separati gruppi) ordinano al drone cosa fare.

Incessante lavorio, dicevo.

La rilevazione satellitare recepita dal software di bordo si declina in continui impulsi impartiti alle singole eliche acciocché ciascuna, ruotando a velocità differenziata, assicuri la permanenza del veivolo nella postazione data, compensando spinte esterne.

Sì, che ve ne rendiate conto o meno il drone – per ordine letteralmente … superiore – fa un sacco di cose – e fa fatica a farle – solo per rimanere fermo, anche quando non toccate i comandi.

E adesso vi dico una cosa brutta.

È proprio brutta, è una parolaccia, e si chiama Atti (così la chiamano in Dji, ma può avere altri nomi di battaglia).

Atti è una strega maligna.

Voi avete impostato sul drone tutte le assistenze.

Avete il drone fermo per aria, non state facendo niente.

All’improvviso appare la malefica scritta Atti sul display e il drone se ne va per conto suo.

Cosa è successo?

Due i casi possibili.

Forti interferenze elettromagnetiche.

Non è molto frequente, ma può generarsi anche in scenari che si sarebbero definiti banali.

E ora il caso di chi tra di voi è montanaro.

Siete in una gola di montagna.

Il drone sembra tranquillo, fermo a sovrastare un torrente.

All’improvviso arriva la strega Atti e il drone va a sbattere.

Come è successo, saputo il cosa?

Che l’interposizione di barriere orografiche ha interrotto il dialogo tra satellite, processore e motori.

Il satellite non è stato più in grado di comunicare le coordinate al software, e questi di impartire i necessari ordini ai motori che fanno girare le eliche.

Tenetene conto, là fuori.

Dare per scontate cose, può essere pericoloso.

Ed ora un’altra, di cosa.

Non c’è più la strega brutta, ma un omino (donnina, non vi fosse l’accezione dispregiativa) intelligente.
Io lo visto in Dji, ma di altrettanto – se non di più – brillanti ne ho visti altrove.

Sapete, in terra abbiamo quella roba lì del reciproco della focale.

La regola empirica che consiglia di impostare tempi di otturazione la cui parte frazionale sia almeno pari alla lunghezza focale dell’obiettivo adottato, a scongiurare il nostro umano micromosso quando brandeggiamo una fotocamera senza l’ausilio di uno stativo.

In cielo, vi è qualcosa di meno e di più.

Di meno, che il treppiedi lassù non li possiamo portare.

Di più, che molto probabilmente il nostro drone godrà di stabilizzazione.

Elettronica, non priva di controindicazioni e conseguenze; con maggiore probabilità – fortunatamente – meccanica a due o tre assi.

Allora qual’è il ruolo dell’omino intelligente dentro il drone?

Di porsi un criterio, ma di discernere la situazione.

Se la luce non è abbondante ma nemmeno drammaticamente carente – il caso che m’accingo ad esporre è relativo ad un drone il cui obiettivo ha un angolo di campo di ottantaquattro gradi, il che comporta un angolo di campo coincidente con quello di un ventiquattro millimetri nel formato Leica – non scenderà sotto un trentesimo di secondo. Meno luce? A parità di tempo d’otturazione, eleverà l’amplificazione del segnale.

L’omino dentro il drone, però, ha seguito un corso di sopravvivenza in ambienti estremi.

Se la luce è proprio poca, dice: pazienza, scenderò sino ad un ottavo di secondo, sennò non si vedrà niente, visto che ho già dato fondo agli ISO.

Pragmatico, l’omino.

Ma volete sapere una cosa?

La differenza tra un trentesimo di secondo ed un ottavo è che nel primo caso la fotografia andrà esente dal mosso, mentre nel secondo caso è un terno al lotto: a seconda dei capricci del Dio Eolo ce la farà oppure no.

C’è un corollario, a questa cosa qui.

Non è brutto come la strega Atti, ma bello non è.

Si chiama Hyperlapse.

Scordatelo, questo nome, se fate sul serio.

In cielo un treppiede non si può portare, e questo è tutto.

 

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Claudio Trezzani

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