Intellegibilità.
Sta tutta qui la questione, quando guardiamo.
Dal latino inter + legere, leggere attraverso.
È come ci rapportiamo al reale.
Ma cos’è il reale?
Chiamiamolo allora mondo.
Di cui la Fotografia è parte.
Il pittore Mark Rothko viaggiò verso l’essenzialità.
Alla fine del percorso, il colore prevalse sulla linea.
Il colore stesso divenne linea.
Linee che non esistevano prima che le materializzasse.
Le linee di Franco Fontana invece esistono anche prima del suo riconcepimento.
Sì, riconcepimento.
Ci sono tre fasi.
La prima è la nuda esistenza del campo.
La seconda è l’interpretazione di Franco.
La terza la rivisitazione di chi guarda il reale già mediato.
La seconda e la terza esigono pensiero.
L’intellegibilità sorge con la seconda e si espande con la terza.
Fontana ha riconosciuto il campo come tale, e non ha giudicato rilevante la letteralità.
Indi è stato attraversato da una impressione.
Infine ha esplicitato quanto ha provato.
Rovesciamo ora l’immagine, se v’aggrada (disabilitando la “rotazione automatica”, se state brandendo uno smartphone…).
Cosa vedete, ora?
La faccenda è curiosa.
Perché esiste un fattore discriminante.
Esso è costituito da un singolo colore.
Il colore è l’azzurro.
Fotografia rovesciata o no, sappiamo sempre che è – era? – un campo per via di questo singolo colore (se è
firmamento, sotto è terra).
Sostituiamolo, e la percezione muterà.
Dualmente, muterà.
O campo, o niente.
Ovvero: o sembiante appartenente al mondo sensibile univocamente riconoscibile, o cosa non rapportata al preesistente.
Ecco, se il cielo non è azzurro il campo “era”.
Ma siamo sicuri che non riconoscere il campo proietti in dimensione aliena?
Qui c’è una decisione da prendere.
Che non è cogente, però.
La decisione riguarda coloro che avevano riconosciuto il campo in quanto giustapposto al cielo.
Costoro possono continuare a considerarlo campo oppure far finta che non lo sia.
Se optano per la seconda soluzione raggiungono quelli che non avrebbero riconosciuto il campo perché la porzione superiore dell’inquadratura sarebbe stata – poniamo – verde.
Sono sulla stessa lunghezza d’onda, ma senza genuinità.
Perché sanno che è un campo, ma fingono di non avvedersene.
Quegli altri invece, quelli del verde, pensavano fosse un dipinto.
La differenza è tra riconoscere ed interpretare, parrebbe.
Parrebbe, ma non è.
Parlavo di preesistenza, prima.
Quelli del verde – quelli del non/campo – credono che l’immagine nasca lì.
Che la mediazione, cioè, avvenga tra la testa del fotografo scambiato per pittore e la susseguente realizzazione.
Quelli dell’azzurro, invece, sanno che è avvenuta una trasfigurazione mercè elemento di terzietà.
Quelli dell’azzurro sanno che l’artefice ha preso “da fuori” in senso geomaterico, non meramente suggestivo.
Ora – sempre se ve ne punge vaghezza – risalite di tredici righe e buttate in un sacco tutto ciò che sta scritto tra lì e qui.
Fatto?
Bene, ora eliminate anche il sacco.
Perché la mente umana funziona a strati.
Ed il discernimento non esaurisce l’assimilazione.
Il “tutto” che riceviamo è il frutto di una elaborazione polisensoriale.
Polisensoriale e potenzialmente multitemporale.
Possiamo andare a vedere chi erano Franco Fontana e Mark Rothko, dopo.
Oppure lo sapevamo già, prima.
Oppure non lo sapremo mai, fa lo stesso.
E – chissà – potremmo non avere mai visto un campo.
Ma a contare è quando arriva l’onda.
La vediamo, ci investe.
Ci bagna, ne risultiamo intrisi.
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Claudio Trezzani
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