Giova sempre rimarcare i rispettivi punti di forza dei dispositivi dronuali e di quelli a brandizione diretta, onde evidenziare una concorrenza virtuosa al servizio del linguaggio.
Nel caso delle due fotografie a corredo di questo brano, possiamo notare come anche a distanza di pochi metri dalla possibilità “terrestre” (riva del mare) il sancire l’impossibilità di posizionarsi si contrappone ad un notevole ampliamento delle facoltà espressive, ove invece si ricorra alla soluzione aerea.
Basta infatti arealmente stazionare sull’acqua a breve distanza dalla costa e con una modesta elevazione per sortire la realizzazione di due significativi esiti impossibili alla ritrazione mediante brandizione diretta: la zenitalità ravvicinata e l’esclusione frontale di porzione indesiderata.
Il primo caso: avere accesso diretto al piccolo scoglio non è impossibile, al netto delle condizioni meteorologiche
Personalmente sono attrezzato allo scopo, essendo dotato di canoa gonfiabile.
Una volta lì, purtuttavia, con dispositivi terrestri si registrano due impossibilità: oltre a quella di inquadrare zenitalmente all’altezza desiderata, anche quella di escludere il ritrattore e l’imbarcazione dall’immagine, a grave nocumento della pulizia formale.
Nel secondo caso il problema è un altro: se si vuole il cielo quale protagonista dell’inquadratura, non è possibile serbare ortogonalità ed al tempo stesso escludere l’indesiderata porzione inferiore dello scenario.
L’unico modo di aggirare l’inconveniente sarebbe quello di impiegare un obiettivo marcatamente grandangolare e poi generosamente elidere in postproduzione la parte inferiore del fotogramma, con le ovvie limitazioni del caso.
Con il drone invece è possibile posizionarsi a piacimento, ottenendo una inquadratura già in partenza conforme all’intento.
Solo vantaggi, dunque?
Torniamo per un attimo alla prima fotografia, che inquadra dall’alto uno scoglio: è agevole desumere dalla presenza di dettaglio in acqua che il tempo d’otturazione è piuttosto breve. Il corollario di ciò è: la possibilità di ottenere setosità dell’acqua mediante lunga esposizione è ineluttabilmente bandita.
Ciò perché l’opera di un robusto stativo non può essere surrogata: lo stabilizzatore meccanico pluriasse che equipaggia i migliori droni non può estendere la sua efficacia a tempi d’esposizione che eccedano le frazioni di secondo.
Va da sé che lo sguardo non può che essere compatitorio di fronte ai così appellati hyperlapses vantati dai costruttori a proposito di sequenze in movimento, (oppure di timelapses ottenuti in camera da smartphones).
Abbiamo così ancora una volta assistito all’illustrazione della complementarietà di mezzi ed esiti tra attrezzatura a brandizione diretta e dronuale.
A proposito di quest’ultima si nota come un numero crescente di fotografi se ne doti, spesso come mera cornice contestualizzatoria della sessione fotografica terrestre.
È tuttavia importante porre l’accento sull’esigenza che l’utilizzatore riservi una approfondita attenzione – sia teorica che pratica – all’uso del mezzo aereo, sin da prima dell’acquisto, anche quando il dispositivo venga relegato ad un ruolo secondario nel proprio flusso di lavoro: a prescindere dal fatto che è riduttivo usare con approssimata superficialità attrezzature che hanno raggiunto un apprezzabile livello di sofisticazione tecnica, il drone è un mezzo che, solcando i cieli, non può essere condotto senza una preparazione adeguata.
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