Greg Martin governa la materia.
Ve ne s’intride, quando agisce direttamente sulla formulazione delle pellicole.
O quando costruisce da sé le fotocamere.
Questo non gl’impedisce di volgersi all’etereo.
All’etereo, non all’evanescente.
Tanta pregressa fisicità non rende greve l’atto creativo.
Al contrario, lascia libera la mente di librarsi.
L’acqua sgorga dalla pietra, la carne sprigiona spirito.
La modella di trina crestata è conscia della presenza di Greg, anzi con esso interagisce.
Ma allo stesso tempo il suo sguardo perfora l’artefice, proiettato – dolce ossimoro – verso i recessi di sè.
Così si fa co-artefice, come in ogni più riuscito ritratto, la modella di trina crestata.
È consustanziale all’esito, in una inscindibile osmosi.
Greg ha individuato un parallelismo tra i selfies di oggi e l’invenzione dei ferrotipi.
Con essi, dice, a partire dal 1860 la raffigurazione umana è divenuta agilmente spendibile.
Agilmente, ma frutto di un operoso lavoro.
Che si sostanzia di strati – a proposito di un suo lavoro sull’archeologia industriale parlerà di dimensione scultorea – spazi, movimenti, sottolinea Greg.
Una proteiformità insita tanto nella realizzazione quanto nella percezione.
Alle mostre Greg esorta i visitatori a filtrare la visione traverso le lenti dei loro telefonini.
Così facendo essi s’avvederanno che la mediazione distorce, e ciò servirà quale metafora della compressione che i social media esercitano sulla realtà.
Espandere, non comprimere, giova allora.
Anelare all’infinito traverso finitezza.
Intravedere – è il titolo di questo articolo – nell’originaria etimologia latina: vedere attraverso.
Sondare la complessità e la profondità.
Epitome ne è lo spessore stesso del procedimento fotografico su lastra.
Sapete, in un’altra immagine Greg ci mostra un suo work in progress, ed il volto che s’intravede è rivestito da strisce di tessuto.
Ecco, le tende della terza fotografia a corredo di questo brano.
Qui le tende sono il soggetto stesso della ritrazione.
Da oggetto utilitario a protagonista.
Da diaframma a disvelazione.
Da mezzo a fine.
Niente è un univoco monolite.
Tutto si piega e s’irraggia grazie alla poliformità della psiche.
La Fotografia veicola, traghetta e sbalza moti dall’interno all’esterno.
Con – boomerang in accezione insolitamente positiva – destinazione finale noi stessi.
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Claudio Trezzani
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