Interpretazione e destinazione

Nel precedente articolo “La dichiarata illusione” osservavo che quando il fotografo ed il soggetto della ritrazione collaborano all’instaurazione di un artificio visuale sovrappongono codice su codice.

Senza ripercorrere il pregresso telegrafico excursus  filosofico, ricapitolo affermando che tra l’apparenza e e l’essenza si insinua un terzo elemento che poggia sull’ipotesi di una condivisa conscietà dell’espediente utilizzato.

Evidenziavo poi che – proseguendo ma senza arrivare all’astrazione evocativa delle tavole di Rorschach – si pone un ulteriore caso laddove l’inganno non è ricercato ma è passibile di generazione.

Non menziono di nuovo l’esempio che feci in proposito, ma con la fotografia a corredo di questo brano dilato i termini della questione. Sopra il cofano dell’automobile insiste una forma arcuata

È un ponte, oppure ad essere arcuata è la parte scura sottostante, rispetto alla quale la porzione chiara configura una superficie acquea? Poterlo verificare è parte del processo e del concetto, come chiarirò in seguito.

La vettura è una Maserati carrozzata da Scaglietti per Gianni Agnelli nel 1960. Nel 1973 è stata venduta nel corso di un’asta indetta da Christie su iniziativa di Lord Montagu. Essa si è svolta sul terreno che il nobile inglese possedeva a Beaulieu, nello Hampshire.

Google Earth permette di fiondarsi istantaneamente sul posto, esplorandolo poi frontalmente tramite la funzione Street View. Il responso è: l’acqua c’è: è il Mill Dam, un laghetto, preceduto da uno stretto corso d’acqua. Rimane allora da stabilire se è vera la prima o la seconda ipotesi.

Se cioè l’acqua è quella che si intuisce o quella che si vede. Nel primo caso, la si deduce sotto le arcate del congetturato ponte. Nel secondo, la si vede sopra la supposta forma scura arcuata. Le rive del laghetto sono disseminate da vegetazione che lascia pochi varchi alla vista, dunque entrambe le possibilità rimangono tali.

Ciò è seducente, sotto il profilo dell’analisi. Sia perché conferma ed amplia il margine della gamma interpretativa – in assenza di inganno deliberato – rispetto all’esempio che citai nel precedente articolo, ove la percezione era riconducibile ad una percezione infantile.

Sia perché la meccanica rappresentativa dell’immagine per essere indagata ha abbisognato di altre fotografie, tutte connotate da una destinazione meramente documentaria.

Ecco allora la peculiarità che emerge: si deve giostrare con iconografie che non nutrono ambizioni di linguaggio per interrogarsi su di una particolarità la cui induzione si sarebbe detta propria di una intenzione speculativa. In altre parole: ci si imbatte in un inganno non voluto laddove il proposito era solo quello di rendere conto di una situazione oggettiva.

Ciò non fa che ribadire l’imprevedibile polisemanticità della fotografia: talora costringe a scelte interpretative pur di fronte ad una “innocenza” esecutiva. È un rutilante vortice in cui il fruitore ha facoltà immergersi con deliziato stupore.

 

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Claudio Trezzani

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