Prima in “Destini“, indi in “Il Dentro & La Circolarità” m’occupavo d’inestricabili intrecci.
Sì, inestricabili intrecci.
Fotografia, pittura, vita.
Non separabili, e meno male.
Ma quando le collimazioni assumono le sembianze del sorprendente, ci s’interroga sul significato delle così appellate coincidenze.
Sino a “Il Dentro & La Circolarità” si era al trittico.
Ora i concomitanti fattori sono divenuti quattro.
Perché – la progressione era stata: musica che diventa fotografia / pittura / firma che s’incarna in evento – noto che nella pagina di giornale si fornisce ulteriore conto dell’invio a Bruxelles – premiata – di un’incisione del pittore in questione – Vittorio Vailati – che raffigurava persona senza fissa dimora.
Ed io, proprio una persona versante in quel tipo di difficoltà avevo incontrato appena fuori la biblioteca ove tutto era partito.
In un foglio – il microfilm di un foglio – c’era già tutto: musica che diventa fotografia / pittura / firma che s’incarna in evento / incontro stradale.
Sorta di vaticino, ed insomma.
Di cosa avrei visto, di cosa avrei rimembrato, di cosa avrei collegato.
Non è finita.
Vedova del fotografo – Larry Siegel – di cui m’ero occupato, mi scrive da New York: “I am so amazed when someone from the past appears.”.
Ecco l’inestricabile intreccio: il passato invade la contemporaneità, così come – è l’incipit di questo mio articolo – fotografia, pittura e vita sono inscindibili.
Oh, fotografia, pittura, arti figurative in genere, letteratura, vita.
Il tutto s’abbbraccia al tutto.
Perché in “Destini” argomentavo che i moti interiori attengono alla biologia, non alla geografia.
Si, alla biologia.
Dal greco Βιος, Vita.
Così, il minimo comun denominatore è l’umana percezione.
Che attraversa lo spazio, addirittura il tempo.
Ed è sempre l’umana percezione che rende possibile assonanze transdisciplinari.
Sì, assonanze transdisciplinari.
Sapete, una delle opere che maggiormente ho apprezzato di Vittorio Vailati è quella stessa che è stata impiegata quale copertina del catalogo, la mostra è sempre quella in cui mi sono prodigiosamente – la coincidenza che sconfigge il caso – imbattuto.
Interni d’abitazioni.
Ex, abitazioni.
Non più abitate, tranne forse da persone – ancora, la coincidenza – che cercano estemporanea fisssazione di quella stessa dimora cui per definizione sono indicati rifuggire.
E qui s’innesta Luigi Ghirri.
Ecco a corredo di questo brano sua magistrale fotografia.
Icastica per levità del tratto che prosciuga.
Prosciugando, sbalza.
Sbalzando, imprime.
Imprimendo, s’impone al ricordo.
Come in Vittorio Vailati, l’immagine gronda – la figura è pressoché ossimorica – palpitante assenza.
Vibrazioni di cosa pregressamente fu, entro quei luoghi.
Sapete, in alcuni quadri di Vailati qui non mostrati notavo la presenza di pianoforti o spinette.
Vittorio mi spiega: sono gli ultimi elementi d’arredo a scomparire, oppure anche rimangono lì, in quanto difficili da trasportare.
Ecco, il cerchio si chiude.
Tutto era partito dalla musica, alla musica si torna.
Da una pagina di giornale di trentotto anni fa, una vertiginosa concatenazione d’avvenimenti.
Sì, avvenimenti.
Viaggi interiori ed esteriori si saldano, persone vengono accomunate da imprevedute relazioni.
Ogni cosa tramite la vista s’appalesa.
La vista si nutre della fotografia.
Che è dinamico congelamento.
Sì, dinamico congelamento, sorta di conciliazione degli opposti.
Perché non è vera ibernazione.
L’immagine è pronta a scrollarsi di dosso il ghiaccio, quando il Futuro chiama.
Ancora una incredibile coincidenza: l’occhio mi cade sulla quarta di copertina del summentovato catalogo.
Montale l’ occhieggia dicendo: “eppure resta che qualcosa è accaduto, forse un niente che è tutto”.
No, sbaglia, Eugenio: ” Il tutto s’abbbraccia al tutto”.
Lo scrivevo, ignaro, poco sopra.
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Claudio Trezzani
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