In templi, lenti

Non tempi lenti,

Piuttosto: in templi, lenti.

In luoghi di culto, obiettivi fotografici.

Lo sapete, ispirano chiunque, credenti e non.

Perchè ingente profusione devozionale si è ivi stratificata.

E sforzi per indirizzare, od impressionare.

Persino Rick Steves, la cui troneggiante funzione di divulgatore televisivo suggerirebbe un approccio improntato ad annacquante ecumenismo, a paciosa dissimulazione, non dosa le parole, seduto in una panca nel cuore della

Roma volta alla contemplazione del sacro.

Taglia a fette periodi storici, a ciascuno attribuendo intenti ora elevati ora violentemente temporali.

O Manuel Vilas, la cui ipersensibilità al confine con la nevrosi individua tra ombrose arcate la panacea per sfuggire a ciò che preconizza sarà futuro lusso, il silenzio.

O Milan Kundera, che in una chiesa di Amsterdam denudata contempla affascinato il furore calvinista, assimilandolo alla scopa di Ercole.

Come operate entro basiliche con una fotocamera in mano?

Treppiede?

Bene.

Architetture?

E sia.

Riproduzione iconografica?

L’arte statica a fini didattici ringrazia.

Cattura della vibrazione emotiva?

Se e quando possibile, giova.

Ma conta documentare quale sia il santuario ove siamo?

Sapete, si può fare altrimenti.

Anche senza stativo, nel limite del circostanziale consentito.

E siamo alle tre fotografie a corredo di questo brano.

Una mirrorless con sensore non piccolo, una focale fissa di generosa apertura relativa.

Senza stativo, erratica deambulazione.

Lumini come bonzi, o cattedrali nella cattedrale.

Pomo di sedia che vuol primeggiare, mentre dialoga con geometrie a terra.

Eppoi, quel Carlo.

Non ha messo la data della sua visita, Carlo.

Gl’impelleva di più vergare emozioni.

Il registro sfuma perchè s’incentra.

Il fuoco è su Carlo perchè il suo momento è topico.

Ha consegnato al foglio una cosa tra lui ed il tempio, Carlo.

Unica, in una teoria di proteiformi suggestioni.

Non si riconosce la chiesa.

Si riconosce il timbro, l’adesione individuale individualmente marcata ad una idea concepita e realizzata per una eterogenea umana pluralità.

Con l’intento di ricondurre a unità, qui vanificato.

Virtuosamente vanificato.

Virtuosamente, perchè ciascuno ha il suo accento, da esso parte.

E se vi è confluenza, essa si realizza con variegati – profondi nell’inimitabile soggettività – apporti.

Torna Kundera, quando distingue tra amante lirico ed amante epico.

Il primo cerca l’idea, il secondo la differenza.

La divina differenza che fa ciascuno inimitabile.

 

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Claudio Trezzani

https://www.saatchiart.com/claudiotrezzani

 

 

 

 

 

 

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