Don Chisciotte contro la notte.
Sì, sovente ci tocca essere cervanteschi obtorto collo, da fotografi che effettuano lunghe esposizioni di pali confitti in acqua vicino riva nell’oscurità.
Caso peggiore, quello dei sette pali.
Composizione equilibrata ed efficace, ancora una volta il caso – la primigenia funzione lacustre inconsapevole dell’effetto estetico – ha positivamente congiurato, ponendo al cospetto del ritrattore un insieme già in sè parlante.
Ma nessun fotografo non obnubilato da sostanze atte a cagionare perdita di lucidità avrebbe in siffatta guisa posizionato le luci.
Orrenda congerie di bagliori ed ombre, priva di qualsivoglia disegno e decenza espressiva.
La colpa?
Di un paio di lampioni, intuibilmente.
Con i quattro pali si principia ragionare.
Ancora notte, ancora lampioni, ma l’angolazione di ripresa consente di mitigare i nefasti effetti, ed inoltre la minor gravità di turpitudini illuminatorie consente di giocare un poco con il registro cromatico complessivo.
I quattordici pali, ora.
Sgradevoli, sebben non diffuse, disomogeneità al centro, e per il resto l’immagine lotta con l’incipiare del giorno.
E’ giocoforza con esso misurarsi, la cosa depone a sfavore, ma se ne può trarre un registro espressivo.
L’unico palo, infine.
Questa è la condizione.
Giornata uniformemente nuvolosa, dieci stop di filtro a densità neutra.
Parcità al servizio di grafismo, ed insomma.
Talvolta, tuttavia, i pali – o le rocce, o qualsivoglia altro elemento isolato in acqua – può essere sufficientemente distante da fonti illuminatorie fotograficamente spurie da non soverchiamente risentirne quanto ad indesiderata invasione.
Non contateci troppo, però.
Perchè quando l’esposizione si misura in minuti, una fiammella arde come un sole.
Piuttosto, in tali frangenti sarà imprescindibile dotarsi di una potente torcia, onde poter focheggiare sul soggetto prescelto (e giungere al sito senza patire ferite da caduta…).
In sintesi: quando uno scenario si presenta variegato per illuminazione artificiale posta in essere per fini non fotografici, l’abisso è ben desideroso d’ingoiarci.
Non di frequente è possibile far di necessità virtù.
In altri casi, saggezza vuole rinunciare.
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Claudio Trezzani
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