Succedeva in ambienti aristocratici (o altoborghesi persino nel Nuovo Mondo) che si disdegnasse indirizzare i figli verso facoltà universitarie che non fossero umanistiche: si collegava la formazione scientifica alla “volgarità del fare” contrapposta all’elevatezza della speculazione intellettuale.
Una aberrazione, certo, se declinata alla fattualità: nessuno desidera che non ci siano ponti, e ci vogliono gli ingegneri per progettarli; nessuno si augura di non guarire da malattia, e per questo c’è bisogno di medici.
Non si può prescindere dall’utile, insomma.
Ora però prendiamo Immanuel Kant.
Asseriva che il bello è senza scopo.
Di male in peggio: si nomina una cosa fatta per i perdigiorno (la contemplazione del bello, chi va a lavorare non ha tempo per queste cose) e si rimarca che non serve.
Ma è questo che il filosofo tedesco intendeva?
Prendiamo ora un muro sbrecciato.
Magari dentro la casa è confortevole, e questa qualità non viene meno se fuori l’intonaco si sfalda.
Il senso di utilità suggerirebbe di non agire sul muro, poiché l’inestetismo esterno non nuoce alla funzionalità interna.
L’esteta al contrario vorrebbe del muro ripristinata la primigenia levigatezza.
Ma siamo sicuri che il bello stia nel muro intatto?
Nossignori.
Per essere trafitti – questo il verbo che Thomas Mann impiegava – dalla bellezza occorre che il muro rimanga sbrecciato.
Sapete, a proposito dell’astrazione mi era capitato in queste pagine di menzionare l’aggettivo “ineffabile”. L’etimologia latina è “in-effabilis”, che viene da “effor”, “dire chiaramente”.
Dunque, in-effabile è qualcosa che non si rivela al primo sguardo.
Bisogna andare al di là.
Sublimare, come direbbe Sigmund Freud.
Avere la puerile follia di rinnegare il principio di non contraddizione: quella cosa diviene arte perché può avere una lettura ulteriore rispetto all’esperienza del mondo sensibile.
Siamo approdati alla greca “epopteia”.
Abbandonandoci all’illuminazione, penetriamo il fondo o assurgiamo all’altezza.
Giù o su, fa lo stesso: ci affranchiamo dall’orizzontale ovvietà del funzionale per esplorare la verticale stratificazione di una dilatata conoscenza.
La fotografia si annovera tra i mezzi che lo consentono.
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