In ambito nautico si va progressivamente diffondendo un dispositivo – basato sulle indicazioni del GPS – che consente, agendo sulle eliche dei motori, di mantenere la posizione in acqua, a dispetto delle correnti.
Lo stesso – azione combinata di GPS, motori, eliche – avviene in aria con i droni appositamente equipaggiati, per consentire il cosiddetto stazionamento in hovering.
Da qui occorre partire per comprendere l’azione del vento sulla navigazione aerea: il software del drone spesso interviene in maniera differenziata sulle singole eliche, giusto per permettere al drone di rimanere fermo sul punto desiderato, indipendentemente dalla direzione in cui il vento spira.
Per rendersi conto di quanto lavoro il meccanismo del drone esplica anche solo per non muoversi, è sufficiente un esperimento: iniziare un hovering con l’ausilio del GPS ed improvvisamente commutare le impostazioni del velivolo per sottrarlo al controllo del GPS (le sigle e gli acronimi con cui i costruttori chiamano queste diverse funzioni di governo sono vari): immediatamente, e con tanta veemenza quanta è l’intensità del vento, il drone effettuerà uno scarto e tenderà a vagare.
Controllato o meno nella sua posizione, quanto vento sopporta un drone prima di cadere?
Intuibilmente, il peso del velivolo riveste un ruolo decisivo, in proporzione diretta, ma anche la forma aerodinamica esercita una certa influenza.
I fabbricanti dichiarano una resistenza al vento con una Babele di unità di misura indicate. Consideriamo qui un dato medio, meramente indicativo, e riportiamone le relative equivalenze: 10 m/s = 22 mph = 35 km/h.
Ma come si fa a sapere quanto vento c’è?
Una prima distinzione va fatta tra previsione e rilevazione istantanea, con la seconda possibilità non necessariamente più valida della prima, ma entrambe valide se abbinate.
Mi spiego: se ovviamente una misurazione istantanea fornisce il dato più attendibile, essa non ci parla dell’immediato futuro, ed inoltre si riferisce esclusivamente a quanto avviene a terra. Per effettuarla esistono delle applicazioni esclusivamente digitali, caratterizzate da una attendibilità risibile, mentre ben più efficaci sono i classici anemometri, anche di formato tascabile, con rilevazione meccanica assistita digitalmente.
Per ciò che attiene le previsioni atmosferiche, nel considerare che, ancor più che per l’ambito precipitazionale della meteorologia, la previsione è tanto più affidabile quanto minore è il lasso temporale intercorrente tra l’indicazione fornita ed il volo effettivo, è importante prendere in considerazione servizi – presenti in Rete od altrove – che oltre a fornire il dato di intensità e la sua direzione (consuetudine rimanente ora per ora) diano indicazioni anche relative alle raffiche e al comportamento alle varie altitudini.
L’esperienza empirica – corroborata da una costante ricorrenza che attesta statistica ciclicità – è la seguente, purtroppo nei limiti di una notevole approssimazione: la raffica tende ad essere doppia in valore rispetto al dato medio; l’intensità raddoppia ai duecento metri di altitudine, e triplica ai cinquecento (rispetto al punto di partenza).
Infine: il modo in cui si conduce il drone ha influenza sulla resistenza al vento?
Marginalmente, si. Impostando il drone nella modalità che consente la maggiore reattività ai comandi, e manovrando gli stessi con repentinità, oltre ad agire simultaneamente su possibilità vettoriali diverse, talvolta e su alcuni droni (non mi riferisco ai modelli vocati al volo acrobatico), per pochi attimi è possibile scorgere una porzione del telaio del velivolo, circostanza eccedente il range di orientamento previsto dal costruttore, ed indizio di un incipiente problema di stabilità.
In conclusione: se è vero che in linea generale i fabbricanti di droni forniscono stime prudenziali sulla resistenza al volo dei loro prodotti, è altrettanto vero – e reale il pericolo connesso – che sul campo occorre considerare un ampio margine motivato dall’impossibilità di conoscere davvero i precisi valori di quanto il vento soffierà, e che l’eventualità di cui tener conto non è solo quella estrema di caduta da ribaltamento (ancora: non mi riferisco ai droni acrobatici) ma anche la possibilità di caduta da contatto: dopo aver specificato che escluso il trattenimento da attivazione del GPS il drone tende a scartare, va anche tenuto a mente che oltre a determinate intensità di vento e prima di una caduta del drone in sè stesso, vi è la circostanza intermedia in cui neanche il GPS riesce a tenere fermo il drone: occorre pertanto mantenere una distanza maggiore dagli ostacoli.
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Claudio Trezzani
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