Il tricheco, Josiah Royce & la Lunga Esposizione.

Giorni fa una agenzia di microstock mi ha stornato il misero ricavo di una fotografia venduta. Ciò è avvenuto perché il cliente era un tricheco, il quale ha argomentato: la fotografia è stata prezzata anche considerando i colori, ma siccome io – per l’appunto, da tricheco – non ho fotorecettori conici, non la pago. Sarebbe stato lo stesso (tra animali che vedono in scala di grigi) con delfini e balene, ma in questo caso il problema non si pone: le fotografie non le possono acquistare online poiché sott’acqua il computer si bagnerebbe. A cosa si deve l’ilare apologo?

Alla labilità del concetto di fedeltà, in fotografia. Non che la fedeltà sia cosa da prendere alla leggera: ad un Oscar Wilde che si pronuncia con amaro disincanto si contrappone l’empito etico del filosofo Josiah Royce, che tratta a fondo l’argomento, principiando col definirla “devotion of a person to a cause”. E come servire la causa della fedeltà in fotografia?

Già partiamo parcellizzati: se fedeltà è offrire immagini così come sarebbero viste a occhio nudo, escludiamo trichechi, delfini, balene, topi ed altri soggetti ancora. E non illudiamoci di vedere meglio di tutti, noi così appellati umani: vi sono animali la cui acutezza del visus fa impallidire le nostre dissertazioni sul microcontrasto. Fedeltà relativa, eddunque. Ma non è finita qui.

La fotografia a corredo di questo brano è stata realizzata mentre c’era buio pesto. Si, avete capito bene: mercé una esposizione perdurante per tre minuti primi e ventidue secondi riconosciamo cose, mentre sul posto non si vedeva niente. È fedele una immagine così? E poi, la nebbia.

La prediligo, per le atmosfere soffuse che sa elargire. Vogliamo però parlare della tentazione di “toglierla”?

Non completamente, beninteso: vi sono, nelle applicazioni postriproduttive, strumenti preconfezionati (ma rimane preferibile l’intervento “individuale”) in grado di ridurre la sua palpabilità. Perché operare in tal senso?

Magari perché nell’inquadratura si ravvisano soggetti cui si vorrebbe attribuire incisività che la sospensione acquea stempera. Abbiamo così tradito l’atmosfera originale? Ma come si pone una “atmosfera” rispetto a ciò che vedevamo sul posto? Ecco, potremmo fuggire dai carboni ardenti dichiarando che l’atmosfera è quella che si vuole infondere. È proprio così?

Lasciamo parlare Soren Aabye Kierkegaard: “la scelta stessa è decisiva per il contenuto della personalità”. Si, è una questione di scelta. Che è l’essenza della fotografia: di fronte alla realtà, si formula la propria interpretazione.

Non ho bisogno di ricordare cosa pensava Picasso in proposito, nevvero?

 

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Claudio Trezzani

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