Il Terzo Stadio

Dopo foglie aggiunte tra tante (nell’articolo “Il Primo Stadio”) e una mela posata su tronco reciso (nel brano “Il Secondo Stadio”), siamo qui, sempre in ambiente boschivo, al bicchiere rotto.

Qual’è la progressione?

Da una inserzione furtiva e sommessa siamo approdati ad una collocazione la cui intenzionità è palese, seppur in un contesto relativamente omogeneo.

Ed ora, il manufatto. È un manufatto plausibile, lì, il bicchiere? Si, se lo consideriamo un rifiuto. Qualcuno potrebbe averlo gettato lì, con colpevole incuria. La finalità del fotografo potrebbe allora essere stata documentaria: documentare un degrado.

Il guaio è che niente di tutto ciò è avvenuto: il bicchiere l’ho messo lì a bella posta, in modo da fotografarlo, indi l’ho ritirato. Ma è davvero un guaio?

Per niente. Avete presente “Goethe nella campagna romana”, olio di Johann Heinrich Wilhelm Tischbein? Ecco, il culto settecentesco delle rovine. In quel caso però l’accento era posto sull’evocazione di un passato glorioso e misterioso. Qui invece l’attenzione è verso il fascino dell’imperfezione.

Ma nemmeno questo conta. L’assunto di questo ciclo di articoli è esaminare il graduale intervento del fotografo nella “composizione prima della composizione”. La minore o maggiore incisività di questo intervento incide sulla “plausibilità  dinamica” dello scenario, ma abbiamo visto che neppure ciò coincide con il criterio ispiratore.

L’elemento nuovo è costituito da un manufatto guastato, ma il fatto che il dato alluda alla poesia della corruzione – ora non più organica bensì strutturale, cagionata da un evento imprecisato – non esaurisce l’intenzione dell’autore. Non lo fa, perché l’autore stesso è qui a chiarire. Lo fa dichiarandosi parnassiano.

Si, quella roba lì dell’ “Art pour Art”. Ma la definizione è di molto antecedente all’instaurazione della corrente: già i latini avevano coniato la massima “Ars gratia artis”. All’autore non interessa documentare l’attività di una discarica abusiva, nè intende inserirsi nel solco di un movimento volto al riciclo. Non gli interessa, in Fotografia, una dimensione ancillare. Non intende permettere che il risultato si prostituisca ad una idea terza. In questo senso, egli “non ha pensato a niente”. La sua intenzione è stata semplicemente quella di far partecipare il manufatto alla danza di forme, colori, toni già presenti nella scena.

Si, lo so, non si può pensare a niente. Ciò che si intende significare è che l’opera si pone refrattaria a veicolazioni strumentalizzanti.

L’astrazione la pone al riparo da non volute subordinazioni. Chiama una lettura “animale”, non condizionata da attribuzione di scopi. Suggerisce astensione da approccio sovrainterpretativo.

Che poi è il Grande Male che, secolo dopo secolo, affligge la Critica nel suo sviluppo complessivo ed interdisciplinare.

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Claudio Trezzani

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