Paolo Colagrandi, che reputo uno dei più affilati scrittori italiani, dice – in “La vita dispari” – che il tempo è l’immagine mobile dell’eternità.
In fotografia il tempo – la persistenza dell’otturatore aperto – disegna l’immagine al di là della percezione sensibile.
Ma vi fascino anche in un tempo che si direbbe “morto”.
Lo sanno soprattutto i fotografi naturalistici.
E la scaturigine è un atavico senso della caccia.
È il tempo dell’attesa, l’attesa della preda.
Che può essere anche inanimata.
In questo caso, l’attesa consiste nell’aspettare che una mutata luce infonda nuova linfa al soggetto.
Notte gardesana, il palo in acqua condotta giace immoto.
È la prima fotografia a corredo di questo brano.
Seconda fotografia, l’alba preme.
Terza fotografia, la luce prevale, in un immagine hig key in cui purtuttavia non si registrano alte luci bruciate.
Minimo comun denominatore?
Il prolungato tempo d’otturazione.
Dapprima ci pensa l’oscurità, indi vi provvede un filtro a densità neutra.
Eccolo qui, il tempo di Paolo Colagrandi, l’immagine mobile dell’eternità.
La realtà muta attorno a noi e dentro di noi, attendendo.
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Claudio Trezzani
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