Il Tempo & Il Mare.
Sì, divertiamoci a parafrasare Hemingway.
Solo che qui non si tratta di canne da pesca e feroci lotte d’altura.
Piuttosto, di una capocchia che si fa voragine.
Una capocchia che si fa voragine?
Sapete, il foro del diaframma, anche ai valori più aperti, rimane piccolo.
Non molto più d’una capocchia di spillo.
Eppure, può contenere quanto una voragine.
Come fa?
Rimanendo aperto a lungo.
Prima fotografia a corredo di questo brano.
Il diaframma non si chiude per trecento consecutivi secondi.
A occhio nudo, il nero empiva ogni cosa, solo intermittentemente squarciato dalla luce del faro.
Sì, intermittentemente.
Nonostante ciò, luce e riflesso appaiono continui.
Appaiono continui?
Questo è un affascinante problema.
La fotografia non è un continuum, essa congela.
Ma se noi deduciamo la realtà da un flusso artificialmente reso attimo, non possiamo essere resi edotti della progressione.
Un dolce inganno che reca frutti per la mente.
La seconda fotografia allegata a questo articolo, ora.
Il diaframma rimane aperto seicento secondi.
Un sacco di tempo, fotograficamente.
Ça va sans dire, l’occhio percepiva una oscurità completa.
Nero per nero, mai sentito parlare di dark frame, o della sottrazione del fotogramma nero?
Consiste in una procedura eseguita automaticamente – se impostiamo la fotocamera in tal senso – che segue l’esposizione, ne replica la durata, ed ha lo scopo di separare il rumore termico elettronico dal dettaglio “esterno” della scena riprodotta.
Non sempre ci riesce bene.
E comporta un inconveniente: determina prolungati tempi morti nella sessione fotografica.
Gli astrofotografi – un eccellente esempio ne è Valerio Pardi – possono attingere a programmi posrproduttivi per spostare questa prassi ad un momento successivo alla sessione.
Attenzione, però.
Il miglior modo di non dover fronteggiare disturbo è curare i parametri di scatto.
Il concetto generale è: ogni modifica costa.
“Costa” perché ogni variazione apporta degrado qualitativo, che è tanto maggiore quanto lo è l’entità del cambiamento.
Così, pensiamo all’esposizione.
Se non è sufficientemente lunga (a livelli minimi di luce si parla di centinaia di secondi in più o in meno) rischiarare l’immagine al computer è deleterio sotto il profilo della pulizia.
E non sottovalutiamo il bilanciamento del bianco:
qualora la temperatura colore del file appaia assai diversa da ciò che vedevamo, correggerla non può essere senza conseguenze dal punto di vista del nitore.
Ecco, rigore per preservare il nitore.
La fotografia è il luogo ove la disciplina non esclude la poesia.
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Claudio Trezzani
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