Sesta trattazione nella sequenza di articoli collegati.
Abbiamo in precedenza esaminato la graduale “visibilità” dell’intervento del fotografo prima e durante lo scatto: dall’inserzione di oggetti consustanziali allo scenario, indi via via meno caratterizzati da ciò che qualcuno definirebbe “coesione interna”.
Successivamente, è stato il fotografo stesso a figurare nell’immagine, passando da uno stato di condizionamento a uno di determinazione.
In questo Sesto Stadio si compie un passo indietro ed uno avanti nella sunnominata progressione: il soggetto torna ad essere persona altra rispetto al fotografo, ma la sua presenza è estrapolata. Siamo così approdati al terreno della decontestualizzazione.
Il concetto era balenato già ne Il Quarto Stadio, ove un sassofono era stato collocato all’interno di un tronco cavo. Qui il procedimento consiste invece nella fusione di un ritratto fotografico con un dipinto. Decontestualizzazione, dicevo. Il termine dilata l’ambito in una foresta di intenti ed esiti
La studiosa Vilma Torselli fa risalire il primo esempio – nell’umana attività – di applicazione del lemma alla costituzione della scrittura, per il suo carattere universale che prescinde da contingenze culturali, assumendo una trascendenza spaziotemporale che sigla il superamento della tradizione orale. In arte si sviluppa la foresta di intenti ed esiti cui accennavo: dadaismo, pop art, il movimento Fluxus che ebbe per ponte il Noveau Réalisme. Nel presente caso – declinato in tre immagini – si ha la collisione tra due imparallele autorialità: il pittore ed il fotografo. Imparallele poiché reciprocamente inconsapevoli. E quanto a finalità?
Quella coincide: l’intenzione di realizzare un ritratto. Il verbo trova certamente coniugazione più pregna nell’esito pittorico: l’autore parte dalla neutralità nullificante della tela grezza e – a suo pregio e carico – “realizza” ogni cosa presente nel quadro.
Ci troviamo in tal modo di fronte ad una potenza e compiutezza dell’atto che marcherebbe un maggior rilievo rispetto all’azione fotografica. Eppure, in questa fusione l’accento – il fulcro – è posto sulla componente fotografica. L’attenzione di chi guarda è calamitata dal volto, nella sua peculiarità di veridice espressione di vita direttamente rappresentata. Rispetto all’apporto pittorico è una profanazione?
Temo di sì: ciascuno dei tre dipinti in cui sono state inserite le fotografie rappresenta un alto e celebrato esempio di somma maestria. Dunque l’attribuzione di ruolo subordinato alle tele suona sacrilego, quasi mera relegazione a sfondo. Un momento: ho scritto “tele”?
Ecco, non lo sono più. Le tre fotografie a corredo di questo brano sono la combinazione di tre scatti – all’avvenente giornalista Raffaella Ciceri – e altrettante riproduzioni fotostatiche dei succitati dipinti. Si esalta pertanto il carattere di imperiturità di questi capolavori del Rinascimento: atti a rivestire novelle palpitazioni nei secoli a seguire.
Ecco la sublime e terribile sorte del genere umano: possedere Autocoscienza
Sappiamo che arriverà la morte, ma allo stesso tempo la nostra mente ha facoltà di spaziare in ciò che non è contestuale. Nel passato, nel presente, persino nel futuro.
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