Se ci soffermiamo a ponderare, concluderemo che la Fotografia è sempre afunzionale
La Fotografia è sempre afunzionale perché consegna a rimirazione il non più attingibile.
Consegna a rimirazione il non più attingibile poiché il fotogramma che guardiamo è forzatamente spogliato della sua primigenia intrinsecità: fotografiamo un paesaggio, esso racchiude una serie di elementi, ma quando abbiamo in mano la stampa oppure osserviamo a monitor l’immagine non abbiamo più cose, bensì la loro riproduzione.
Se il fotogramma comprende un trattore, non possiamo saltarci sopra e con esso arare il campo su cui giace.
Se vi è un albero, i frutti non potranno materializzarsi a nostro beneficio.
Ma la afunzionalità è concetto sfaccettato, variamente declinato, e caratterizzato da pluriplanare dinamismo.
Lo è in quanto se la summentovata qualità si manifesta a priori, a posteriori potremo intervenire su diversi livelli, concettuali e pratici ad un tempo.
E lo possiamo fare traendo e virando.
Traendo e virando?
In principio fu lenzuolo.
Sì, mi riferisco alla fotografia a corredo di questo brano.
Lacerato, è destinato a perire.
Tale dissolvimento, e tuttavia, attiene meramente alla sua destinazione funzionale.
Meglio, alla destinazione funzionale per cui è stato concepito e realizzato.
Ma novella linfa l’attende, se il ritraente sradica l’oggetto dal percorso che s’immaginava per esso in origine.
Se V’aggrada, siamo nell’ambito di una still life che – oltre a rispecchiare l’etimologia del termine – comporta un interventismo connaturato al genere.
Interventismo connaturato al genere?
Sì, il tradizionale fotografo di still life sposta cose.
Le sposta, e le mette in posa.
Lo fa con intenzione di icastico prosciugamento, ma che discende dalla letteralità.
Ecco, la fotografia allegata a questo articolo non appartiene alla letteralità.
Non appartiene alla letteralità perché vi è infusa una intenzione virante.
Intenzione virante?
La volontà che l’oggetto da cui si è tratto reciti altro ruolo.
E che lo reciti in dialogo con il soggetto, che a sua volta ne viene influenzato nella peculiarità espressiva.
Ne viene influenzato nella peculiarità espressiva perché un uomo in sé neutralmente raffigurato, con addosso il lenzuolo lacerato viene caricato di una connotazione ascetica.
La quale connotazione ascetica si fonda su di un inganno riconosciuto.
Inganno riconosciuto?
Sì, chi guarda individua il lenzuolo e parimenti s’avvede dell’allusione monacale, quella relativa alla reinvenzione del lenzuolo quale tunica.
Così l’atto del fotografare assume valenza polimorfa.
Nel fotografare c’è un prima, un durante ed un dopo.
Nella fotografia in cui il ritraente non s’esime dal modificare la scena, il durante partecipa alla vita del processo in modo affatto diverso.
Non di maggiore pregnanza, semplicemente imbocca altre strade.
Da un determinato punto di vista, è un tradimento.
Non perché rende vestito un lenzuolo, non per questo.
Piuttosto, perché abdica alla funzione di silente spettatore del fotografo nella sua qualità di officiante di ciò che sfugge al suo controllo.
Dunque, esercitare controllo può essere visto come un tradimento vocazionale.
Ma – officiare, vocazione, tunica: par religione, e non ne siamo soverchiamente distanti – il fotografo può essere fervoroso tanto nel non contaminare l’esistente quanto nel tuffarcivisi.
E’ la vita, che è così.
Spinte centrifughe non ne contraddicono di centripete.
Continuamente e con vigorosa – e poetica – frizione.
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Claudio Trezzani
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