Il rapporto con il tempo.

Avete presente le scritte che la Legge impone sui pacchetti di sigarette?

Sì, “nuoce gravemente alla salute”, quella roba lì.

Hanno un che di terroristico, quelle scritte.

E devono averlo:

lo scopo è scoraggiare, e farlo traverso una estrema perentorietà del messaggio.

Ecco, quel tono lì serve qui.

Una estrema perentorietà del messaggio serve qui per chiarire una cosa che altrimenti cadrebbe equivocata.

Nessuno direbbe, intendo, che la fotografia a corredo di questo brano non sia un fotomontaggio.

Ed invece no, che non lo è.

Nessuna alchimia con i gradi di opacità di immagini assemblate, né con scontorni.

No, è proprio una fotografia sola, per giunta con poco o punto lavoro di postproduzione.

Diciamo pure nessuno, per rimanere assai vicini al vero.

Come è possibile?

La cosa si fa qui profonda, ben al di là della consumata tecnica esecutoria.

La quale consiste in questo: fotocamera su stativo, prefocheggiatura.

L’autoscatto fornisce l’avvio ad una apertura dell’otturatore che permane per tredici secondi.

In questi tredici secondi accade ogni cosa.

Io soggetto sono nella prima postazione, quella in fondo a sinistra.

Vi sosto brevemente, indi fulmineamente mi fiondo verso la seconda postazione, quella davanti a destra.

Lì mi intrattengo con meno fretta, e questo è tutto.

Sì, questo è tutto.

Ci vuole la malizia che l’esperienza infonde, per ottenere una fotografia così.

Perché è il frutto di errori e del profitto che da essi si trae.

L’esperienza accumulata permette dunque di giocare con la presenza – permanenza del soggetto – durante una lunga esposizione per simulare diversi gradi di opacità.

È una questione di ripartizione percentuale: se l’esposizione dura molto, si potrà non far percepire lo spostamento, e rendere più o meno visibile la sosta a seconda di quanto si indugia in una posizione.

Ciò, purtuttavia, spiega solo l’atto tecnico.

Ma c’è ben altro, qui.

Propizia una riflessione circa il rapporto che intercorre tra tempo e fotografia, questa immagine.

Sapete, con le fotografie siamo abituati ad estrarre l’attimo.

La tendina lavora con alacre rapidità, e cattura un momento breve.

Che per definizione, promana singolarità.

Singolarità, non molteplicità.

Se il tempo è molto breve, si verifica una cosa sola.

Paradossalmente, anche nel caso di una lunga esposizione alla luce, se abbiamo una superficie in movimento come l’acqua, la persistente apertura dell’otturatore sottrae, anziché aggiungere.

Ciò in quanto il tempo che trascorre rende setosa la superficie, abolendone esplicanti corrugazioni.

Qui, no.

Qui, nel summentovato spazio di tredici secondi succedono cose che non si direbbero vere, eppur lo sono.

Chi era lì, non ha visto due me stessi che mostreranno due diversi gradi di presenza nel fotogramma che ne deriverà.

Io stesso, quando facevo queste cose, non le vedevo, solo prassuale esperienza suggerendomi mentale previsualizzazione improntata a plausibilità della reazione causa/effetto.

Ed è notevole, questa cosa qui.

In Fotografia è possibile anche questo.

Giostrare con tempo e movimento per consegnare alla posterità ciò che accadeva invisibilmente e che si palesava successivamente.

Reagire alla condanna – sublime, e tuttavia – dell’attimo per costruire una pluralità che nella fissazione del fotogramma farà rivivere simultaneamente momenti con graduale stratificazione approntati.

Eccolo qui, il rapporto con il tempo della Fotografia.

Di suadente, inelusa cangievolezza.

Niente è smentito, ogni cosa affermata a dispetto di ingannevole implausibilità.

 

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Claudio Trezzani

https://www.saatchiart.com/account/artworks/874534

 

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