E’ una questione di trazione.
Sempre, in Fotografia, è una questione di trazione.
Oh, niente a che vedere con il numero di assi coinvolti nella catena cinematica o con il grip dei pneumatici.
Piuttosto, trazione quale atto del trarre.
Dal latino trahere, quando ancora non c’erano le automobili.
Sempre, quando fotografiamo, traiamo dal visibile.
Di quello che c’è, traiamo ciò che ci colpisce.
Vedete, sono passato dalla definizione di visibile a quella di esistente.
Perché non è detto che ciò che traiamo azionando l’otturatore coincida con quanto contingentemente visibile.
Tipicamente, una lunga esposizione ci mostra più di quanto il nostro occhio era in grado di percepire.
Dunque, l’interrogativo diviene:
Quanto trarre dell’esistente?
Catturare la condizione di luminosità a portata di occhio umano, di più, di meno?
Ecco, anche di meno: sottoesponendo, particolari via via elidonsi.
Così il quanto parzialmente si svincola dal quando:
se possiamo giostrare con la quantità di luce che perviene al supporto sensibile, siamo – anche se in limitata misura – in grado di influire sulla luminosità della scena. a parità d’illuminazione presente.
Farlo in sottrazione non è cosa frequente.
E nella prima fotografia delle due a corredo di questo brano, lo si fa proprio in sottrazione.
Certo, ci si trovava poco prima dell’alba, ma un certo numero di dettagli era già intellegibile.
Ciononostante, la marcata sottoesposizione ha fatto emergere solo una increspatura di tappeto e una base di poltrona.
Sapete, va di moda dire less is more, ma si sta delineando in Fotografia anche una corrente opposta – anche se provocatoria, in ciò autocircoscrivendo la riflessione – che proclama more is more.
Tuttavia, “meno è più” e “più é più” si riferiscono eminentemente all’inquadratura, alla facoltà di renderla formalmente prosciugata laddove nella composizione s’includono elementi congruenti e non numerosi.
Il fatto di celare volutamente oscurando è invece strada meno battuta.
Si tratta ovvero di considerare una scena in cui vi sarebbero sì elementi di disturbo, ma questi vengono selettivamente oscurati agendo tonalmente.
Nella fattispecie, si va vicino ad un travisamento.
Perché qualcuno potrà riconoscere l’identità funzionale di tappeto e poltrona, altri no.
Altri ancora se ne avvederanno ma non se ne cureranno.
Avranno tale approccio mentale poiché avranno deciso di concentrarsi sul segno grafico, piuttosto che sull’interpretazione letterale.
L’altra immagine allegata a questo articolo segue invece una via antitetica:
mostrare tutto.
Sì, ma cosa significa davvero tutto?
Qui spunta un’altro lemma, il come.
Sì, il come.
La luce è ben distribuita, fa vedere tutto.
Sì, ma cosa di tutto.
Ecco, cosa, ulteriore entità concettuale introdotta.
Si vede tutto, ma mercè il come si può non capire il cosa.
Sì, il come influisce sul cosa in un modo affatto diverso dall’artificio di nascondere oscurando.
Qui infatti si vede tutto, ma questo è ripreso da una prospettiva – la zenitale dronuale – che può non rendere possibile comprendere dove si è, poiché trattasi di visione non attingibile dall’umana ordinaria esperienza.
Ecco, la Fotografia: una pentola in cui perennemente sobbollono il quanto, il quando, il come, il cosa, in miscela di continua mutazione.
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Claudio Trezzani
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