Milleottocentottantaquattro.
W. A. Bouguereau dipinge una bambina.
Il pittore di La Rochelle non è precursore degli iperealisti – piuttosto, in lui vibra e convive in dosi alterne o fuse una pletora di -ismi – eppure il ritratto sbalza con l’intensità emotiva di una istantanea in camera.
Lo sfondo, poi.
William ha deciso di muoverlo, agitarlo, trattarlo a succosi tratti.
La pennellata azzurra, sulla sinistra.
Arguibile essere più giovane della persona, concepita e realizzata successivamente alla figura.
Insomma il pittore fa quello che vuole, virtuosamente.
La creazione stratifica tempi, il pensiero li cavalca.
E il fotografo?
Giuseppe Lo Schiavo.
Dichiara ispirarsi a pittori del passato.
A coloro che apponevano la sigla “ad vivum”, anche.
Che con ciò sancivano un desiderio di immediatezza e comunicazione, dico io.
Ma l’attimo è consustanziale alla visione mediata.
Premi il pulsante ed entra il momento.
Anche il fotografo nutre spazi di ariosità temporale.
L’intento s’avvolge di consapevolezza.
Stilistica, ergo storica.
La palpitazione umana circonfusa e circoscritta da una architettura di segno e rimembranza.
L’astrazione che incrocia la reificazione (la treccia di spalle) con la depurazione.
Si, anche il fotografo può fare quello che
vuole.
Unire incontro e cifra.
Contemplare, lasciar parlare, virare.
In un verbo, estrarre.
Al rights reserved
Claudio Trezzani
https://www.saatchiart.com/account/artworks/874534
Lascia un commento