Nel precedente articolo – in questa rubrica – titolato La Pre-Azione passavo in rassegna la progressione logica d’intervento del fotografo rispetto al contenuto dell’immagine, partendo dall’embrione dell’approccio.
Immagine che può anche essere evento.
Evento?
No, niente a che fare con le definizione di plastica di qualche public relation person.
Evento nella lingua italiana viene dal latino eventus.
Che deriva dal verbo evenire, che significa accadere.
Già, accadere.
Sapete, il compianto eccellente fotografo Franco Razzini mi diceva che bisogna prevedere quanto accadrà.
Proprio vero,ed esserne capaci evidenzia grande merito.
Prevedere avendo prevenuto, e ben orchestrare quanto si è previsto.
Ciò che hanno saputo magistralmente fare Sergio Doria e Francis Marquant.
Torniamo così alla faccenda della pre-azione e dell’azione.
La prima appannaggio del fotografo, la seconda divaricabile o univocamente attribuibile a una delle due figure.
Divaricabile o univocamente attribuibile ad una delle due figure in quanto il fotografo può porre in essere quanto la pre-azione che l’azione, con quest’ultima circoscritta ad un suo agire che si sovrappone a staticità.
E’ sua facoltà, oppure, avvalersi dell’azione altrui in sovrapposizione od esclusività rispetto al suo apporto.
In entrambe le fotografie qui analizzate l’azione altrui si esplica in regime di inconsapevezza relativa.
Inconsapevolezza relativa in quanto i soggetti animati sono sì consapevoli di ciò che fanno, ma non in relazione ai fini del ritraente, anzi addirittura ignari della sua presenza.
E anche ciò è un merito.
Piegare senza prevaricare, intendo.
Avvicinare al proprio controllo ciò per definizione ne sfuggirebbe.
Orchestrare musicisti inconsci del direttore, ed insomma.
Sergio si pone in agguato sottoterra.
La pre-azione consiste nel scegliere lo scenario, e decidere la prospettiva.
Nell’inquadratura Sergio stabilisce interessargli collocazione di soggetto deambulante laddove il muro di fondo non reca scritte o luci, se non una lampada superiore.
Superiore, eddunque lasciante spazio al soggetto deambulante.
Non che il soggetto deambulante interferisca in altezza con il capo rispetto ai summentovati manufatti, non è questo il caso.
Epperò, lasciarlo – “collocarlo” – dove gli elementi di disturbo sono meno vicini giova alla distribuzione dei pesi.
Più ancora giova la posizione istessa del soggetto di nero chinato nell’economia generale dell’immagine, nell’apporto di dinamismo insito nella posizione, oltre che a quello generato dal movimento endogeno.
Il che sta a dire: l’istanza superiore è rappresentata – oltre dall’entità di forza cinetica che discende dal movimento endogeno – dall’entità di dinamismo racchiusa nella forza vettoriale che una efficace posizone nell’inquadratura esprime diagonalmente.
Eppoi, il soggetto di nero chinato presenta un movimento nel movimento.
Già, perché nel movimento suggerito dalla postura vi è un sotto-movimento caratterizzato da maggiore palesità.
Il sotto-movimento caratterizzato da maggiore palesità è il piede che il mosso rivela in rapida rotazione, epperciò sorta di sopra-movimento che scaturisce dal sotto-movimento.
E ciò in biancore dialogante con la sovrastante neritudine del corpo, anch’essa instatica ma meno nervosa.
Francis, ora.
Immagine potente, ariosa d’icastica definitiva fissazione.
La coppia umana esattamente dove “deve” essere, per poter definire la fotografia – come qui è – padrone dell’espressione che rende lirica la strategia.
Una prova di forte ispirazione ed assai rimarchevole fattura.
Ecco, pre-azioni, azioni, giostra di ruoli, alte espressioni che nobilitano strategie.
Ecco, la Fotografia.
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Claudio Trezzani
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