Il linguaggio

Comodo.

Con la tv, ancor più con il computer.

Se uno vuole ascoltare una lezione di Steven Pinker – insegna psicologia ad Harvard – non gli tocca per forza volare verso il Massachusetts.

Vedete i cubi alla destra del professore?

Sì, bene, grazie di aver rivolto lì lo sguardo.

Steven dice che per comparare i diversi disegni non stiamo lì a fare complessi calcoli geometrici.

Semplicemente, orientiamo mentalmente gli oggetti.

Insomma, c’è una via più breve alla parola scritta.

Si tratta di riconoscere codici prima della mediazione di altri codici, dico io.

Nondimeno, il linguaggio va oltre la parola.

Ecco, la parola.

Paola Rambaldi inserisce un post sul suo profilo Facebook.

E’ tutt’altro di una sciocchezzuola vagante, pronta per la propalazione in Rete.

Non per niente Paola di parole è Succosa Giostraia (di sua verga – ora, tastiera – “Tredici storie di Adriatico”, e – più recentemente – “Brisa”).

Scrivo cazzate nei ritagli di tempo.

E la foto mostra una forbice che taglia pezzetti di un fazzoletto di marca Tempo con su ognuno la scritta cazzate.

Cosa è successo?

Che la letteralità si è espansa.

La parola visiva ha indirizzato la parola pensata – scritta o pronunciata, pari sono a questo fine – verso una ineludibile univocità, svestendo l’abito della metafora.

Sapete, l’ultimo mio articolo in questa rubrica titolava Ferro suda, carne pietrifica.

O della traslazione semantica, possiamo definire.

Ciò ci porta all’eccellente fotografia di Inna Mosina.

Con un sonante caveat, epperò.

Che le cose si spostano non solo muovendo il sembiante, ma anche mutando la prassi.

Perché che c’è una modella vicino all’acqua, è lapalissiano.

Ma è quello che fa, a determinare il concettuale viraggio.

Anche qui la letteralità s’espande, ma in senso opposto.

Non una direzione resa potente coll’eliminazione d’alternative.

Una letteralità plurilivellare, piuttosto.

C’è la faccenda del colore.

Rosso e blu, asciugando la tavolozza.

Terreno e coperta dialoga con cuffia, tatuaggio fa lo stesso con cielo ed orizzonte.

E’ un dialogo cieco al contenuto, nondimeno espressivo contenuto.

E sopra – più in là nel leggibile – c’è la parodia.

Viso medianamente cinto da orpelli lampadalliferi.

Copricapo discronico con la modernità del tatuaggio.

Coperta avulsa da primigenia destinazione funzionale.

Cose fanno altro rispetto al preveduto.

Ecco, la Fotografia traverso sferza d’intelletto: pilotare l’ironia.

Dal greco ειρωνεια, finzione.

Fingere, cioè spostare.

Siamo ritornati all’assunto intermedio, in questo brano.

La Fotografia come arte di spostare cose.

Farlo in guisa di linguaggio, con ispirata e lirica intenzione.

 

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Claudio Trezzani

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