Il compianto Philippe Daverio in una conferenza tenuta al Politecnico di Milano ha precisato il concetto di Fotografo Bestia.
Sto scherzando?
No.
Philippe ha usato proprio i summentovati lemmi, dichiarando che di Fotografi Bestia ne ha conosciuti un sacco (e precisando che invece quelli degli Anni Trenta tendenzialmente pensavano di più).
Cosa ha inteso significare?
È qui necessario un rapido arretramento… grandangolare (aumentare l’angolo di campo per vedere più cose attorno).
Daverio – sta parlando ad un auditorio di futuri architetti – argomenta che l’approccio ispirativo in ambito artistico può seguire tre principali filoni.
Uno è quello di reinventare il passato (rilascio qui un mero slogan perché approfondire ci porterebbe troppo lontano).
Il secondo è quello di dare ascolto alle viscere.
Il terzo è di fondere contaminazioni.
Il secondo modo è quello che ci interessa qui.
Perché è proprio del Fotografo Bestia.
FB fa cose sublimi dando ascolto alla pancia, senza curarsi di pensare e senza sapere.
C’è una complicazione, però.
Lo spiritoso filosofo De Crescenzo attaccherebbe con la gag del Brodo Primordiale.
La questione è effettiva, ed è di matrice filogenetica.
Afferisce cioè al patrimonio culturale – in accezione pulsionale – comune all’umanità per acido (ribonucleico).
Della serie: quando peschiamo dentro di noi il paniere è il medesimo.
Così il Fotografo Bestia in realtà le cose le sa, e le esprime meglio di altri perché ( quando) ha il talento.
In “Educazione e non” scagliavo esacerbati savonareschi strali verso le deboli menti che chiedono un “messaggio” accanto ad ogni fotografia.
Sordida richiesta motivata dalla triste necessità di un puntello, da parte loro.
I Fotografi Bestia, no.
Non hanno bisogno di puntello, lorsignori.
Perché se è vero che le cose che hanno dentro vagano anche nel corporale interno altrui, i loro neuroni lì – chiedete al neuroscienzato Simone Rossi, se v’aggrada – hanno beneficiato di un innaffiatore da giardinaggio più che altrove.
Sapete, forse un giorno Simone Rossi riuscirà – con la neuromodulazione – a veicolare delle scarichette elettriche anche nei sei strati della corteccia anche di coloro che hanno bisogno di un messianico “messaggio” a corollario di una fotografia.
A quel punto, costoro, il messaggio non lo chiederanno più.
Sino ad allora il Regno dei Cieli permane meritato appannaggio dei Fotografi Bestia.
Il che – ca va sans dire – implica che tutto ciò che ho scritto qui consiste di un cumulo di sciocchezze, per il fatto stesso che si tratta di parole, pleonasticamente sovrastrutturali alle immagini.
Meglio allora, in tema d’immagini, concludere con un particolare tratto da un dipinto di Bosch.
Raffigura il Fotografo Bestia, se volete.
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Claudio Trezzani
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