Dimensioni nello spazio.
Suggestioni, di dimensioni nello spazio.
Si vede, si scatta, si riporta.
Si riporta su di un supporto bidimensionale – stampa o schermo – la cattura di ciò che si è visto tridimensionalmente.
Oh, ben conoscete la faccenda della profondità di campo e di come questa s’interfaccia alla focheggiatura selettiva.
Di come, eccioè, la scelta dell’accorgimento tecnico influenzi la percezione a favore di una evocazione a due od a tre dimensioni.
Ergo, da due si può rimanere a due oppure salire a tre, per come la mente ricostruisce.
Le due fotografie a corredo di questo brano – entrambe mirabili – presentano una estensione della porzione nitida mediamente estesa.
Nel caso di Sirkka-Helina Huru l’adozione di una focale grandangolare determina ipso facto la vastità dell’intellegibilità nello scenario.
Quanto a Stefano Corsi, è lo scenario istesso ad offrire una certa gradualità nell’intersecazione dei piani prospettici.
Dunque, si tratta d’immagini che il cervello elaborerà come bidimensionali oppure tridimensionali?
Ah, posso con gioia affermare che la materia grigia entro la scatola cranica funziona in modo alquanto sottile:
più che della tecnica oggettività, si nutre della decodificazione simbolica.
Così, qui stiamo tra il due ed il tre.
Verso il tre, nella misura in cui il contenuto del fotogramma è costellato da indizi di profondità.
Verso il due, perché sia Helina che Stefano sciorinano grafiche elevatezze.
Quando si vedono quei deliziosi arborei arabeschi in primo piano – intendo – una parte di corteccia cerebrale s’avvede della longitudinalità nello spazio, ma in altra parte della calotta i neuroni suggeriscono: è scrittura, è un ideogramma in segno ed un haiku in significato.
Ecco, ideogramma in segno e haiku in significato.
Porta altrove senza rinnegare dov’è.
Ed allora orsù delibiamo la vertiginosa vigorosa vettorialità d’Helina, che applica questa forza inquadratoria ad una natura ad un tempo lussureggiante e cartesianamente controllata.
E dopo aver delibato Helina, libiamo in onore di Stefano.
Che sa con maestria giostrare con l’apparente ancillarità delle fronde messe qui in guisa quintuale.
Perchè fanno da quinta e nondimeno definiscono pregnante disegno.
E perché al momento opportuno si sanno sommessamente defilare, non ignari di dove, sullo sfondo, lo sguardo converge.
La calda apollinealità – se mi concedete l’ossimoro – della magistrale prova d’Helina; la studiata, sottile orchestrazione ddel aprto di Stefano.
Ecco, la Fotografia: condurre menti, oltre che sguardi.
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Claudio Trezzani
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