Il Doppio Tema

Timelapses, motionlapses.

In voga oggidì, ma – con particolare riferimento ai timelapses – da tempo visualmente proposti in ambito documentaristico, con capiscuola National Geographic e BBC.

I motionlapses – stendo un compassionevole velo sui così appellati hyperlapses, di cui m’occupai non senza una punta di spregio in precedente articolo – hanno trovato recente proliferazione mercè il diffondersi di stabilizzatori meccanici brandeggiabili o su stativo issabili (in misura minore utilizzate – a proposito dell’uso naturalistico – le rotaie motorizzate, maggiormente vocate ad un impiego da studio).

Rispetto a ciò, l’affinarsi dell’elettronica ha apportato una consistente scelta in materia di movimenti automatizzabili, sia in relazione a situazioni preordinate, che a percorsi finemente personalizzabili.

Ciò, tecnicamente.

E quanto alla percezione di chi fruisce le immagini?

E’ una questione di tasso di consapevolezza dell’azione sottesa.

Tasso di consapevolezza dell’azione sottesa?

Sapete, ogni volta che rimiriamo una fotografia non pensiamo che dietro all’inquadratura vi era un artefice.

Lo sappiamo, ma pertinentemente consideriamo fuorviante soffermarci con il pensiero all’azione che ha reso possibile la fissazione dell’immagine.

Ciò vale anche per i timelapses.

Con essi, semmai, la qualità dell’assimilazione è permeata da stupore, (sostituito da seduzione più o meno perdurante, in seguito ad assuefazione) per come il movimento del movibile presenta caratteri non attingibili nella situazione originaria.

Che si sia edotti o no del procedimento utilizzato (i più propendono per un filmato accelerato, non conoscendo la tecnica degli scatti intervallati), non conta.

E i motionlapses?

Beh, qui il congenito dinamismo dell’operazione sposta una quota d’attenzione verso l’effettività del procedimento sotteso.

S’intende: se l’inquadratura è costante (pur al cospetto di una scena in cui elementi transitano) la sua rimirazione è tendenzialmente volta in esclusiva al contenuto in sé.

Quando invece anche il punto d’osservazione muta, e lo fa in progressione (tipicamente, ruotando su asse), il fenomeno “costringe” chi guarda ad una – pur non insistita – presa di coscienza di ciò che ha determinato il risultato del visibile.

Diviene cioè intellegibile – meglio, evocabile – la fonte della prassi, la scaturigine del risultato, ovvero l’essere umano che ha agito.

Mutatis mutandis, è come se – saliti su di una autovettura – si avesse una vista del movimento di bielle e pistoni.

Onde illustrare la differenza, ecco qui un mio timelapse, e di seguito un mio motionlapse.

La differenza di qualità ottica tra i due filmati è dovuta alla diversa taglia dei sensori, e ciò offrirà l’opportunità – in una futura trattazione – di evidenziare il rapporto tra la qualità istessa e, inversamente, le opportunità insite nel poter disporre di una maggiore profondità di campo a parità di altri fattori, in relazione al sensore più piccolo.

 

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Claudio Trezzani

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